Diagnostica Ecografica

Ecografia interventistica diagnostica e terapeutica

L’ecografia interventistica è la branca dell’ecografia che, a scopo diagnostico e/o terapeutico, impiega manovre invasive eseguite con l’ausilio degli ultrasuoni (US).
Viene definita anche “ecografia operativa”. L’introduzione di sofisticate tecniche e metodiche con l’uso di materiali e tecnologie innovativi ha aperto nuovi orizzonti all’ecografia interventistica diagnostica e terapeutica.
Le metodiche diagnostiche applicabili ai vari organi e distretti anatomici consistono essenzialmente in:
– prelievo citologico, con ago sottile (23-27G);
– prelievo istologico (microistologico), con ago di piccolo calibro (21-23G) modificato tranciante o ago di grosso calibro tranciante (20G o superiori);
– aspirazione di materiale liquido (raccolte libere o saccate, fluidi e liquidi biologici in genere);
– iniezione di mezzi di contrasto radiografici.

Le metodiche terapeutiche comprendono:
– agoaspirazione (evacuazione di raccolte fluide libere o saccate: ascessi, raccolte sierose, ascite, etc.);
– drenaggio percutaneo (drenaggio biliare, colecistostomia, drenaggio di raccolte ascessuali);
– iniezione di sostanze (iniezione intracavitaria di antibiotici chemioterapici e/o sostanze farmacologiche in genere, iniezioni intraparenchimali di agenti citolesivi, iniezione di chemioterapici per terapia locoregionale);
– trattamento percutaneo ecoguidato delle formazioni cistiche (aspirazione, etc.);
– nefrostomia percutanea;
– trattamento percutaneo ecoguidato di lesioni solide (ablazione termica con radiofrequenza, laser, iniezione percutanea di etanolo e di eventuali altre sostanze necrotizzanti);
– terapia fetale in utero.

Materiali e strumentazione Per la pratica dell’ecografia interventistica viene impiegata un’ampia gamma di sonde ecografiche, dispositivi ed aghi di varie misure e formati che permettono la puntura percutanea ecoguidata.

Sonde

Le sonde utilizzate si differenziano in tre categorie principali:
sonde transaddominali, ulteriormente distinte in:
a. lineari (linear);
b. settoriali (sector);
c. convesse o trapezoidali (convex)
sonde per strutture superficiali (solitamente lineari)
sonde endocavitarie (in prevalenza linear e microconvex).
Tutte e tre le categorie possono essere provviste di appositi dispositivi (adattatori) per la guida all’inserzione dell’ago (allineamento dell’ago con il bersaglio da raggiungere). In tal caso distinguiamo:
– sonde transaddominali lineari (sempre più in disuso), provviste solitamente di canale centrale per l’inserzione dell’ago; il dispositivo di guida dell’ago è perpendicolare al piano di emissione degli ultrasuoni;
– sonde transaddominali sector e convex, con dispositivo di guida dell’ago variabile per inclinazione e calibro, applicabile lateralmente ad esse;
– sonde per strutture superficiali lineari, con dispositivo di guida dell’ago alcune volte perpendicolare al piano di emissione degli ultrasuoni (canale centrale per l’inserzione dell’ago), ma attualmente il più delle volte provviste di dispositivo di guida dell’ago ad inclinazione e calibro variabile, applicabile lateralmente ad esse;
– sonde endocavitarie lineari (sempre meno utilizzate), con dispositivo di guida dell’ago parallelo al piano di emissione degli ultrasuoni ;
– sonde endocavitarie microconvex, con dispositivo di guida dell’ago obliquo, ad inclinazione predefinita e non variabile.
Sonde transaddominali
Le sonde transaddominali, come già detto, si distinguono in:
– sonde lineari;
– sonde settoriali;
– sonde convex (trapezoidali o convesse).
Le sonde lineari (sempre più in disuso) sono provviste di un canale centrale per l’introduzione dell’ago perpendicolarmente al piano cutaneo ed a quello di emissione degli ultrasuoni.
In rapporto alla forma ed alla sede del canale le distinguiamo in:
a) sonde lineari con canale cilindrico centrale;
b) sonde lineari con canale conformato a triangolo od a settore.
a) Sonde lineari con canale cilindrico centrale. Nei primi modelli, tale canale, realizzato mediante l’asportazione di alcuni elementi della cortina dei trasduttori, provocava un cono d’ombra che rendeva difficoltosa la visualizzazione e l’identificazione della punta dell’ago durante l’esecuzione dell’indagine.
Nei modelli più recenti, invece, l’aumento del numero dei trasduttori e dunque della loro densità sulla superficie di emissione prossima al canale centrale, combinato alla variazione in parte della loro inclinazione, elimina il punto cieco (cono d’ombra) permettendo la perfetta visualizzazione della punta dell’ago durante le manovre bioptiche ed interventistiche.
Il canale di inserzione dell’ago, ubicato sulla sonda da biopsia, può essere chiuso od aperto.
L’impiego di sonda con canale aperto consente la rimozione della stessa dal campo operativo, una volta centrato il bersaglio da bioptizzare, facilitando in tal modo l’esecuzione del prelievo.
b) Sonde lineari con canale conformato a triangolo od a settore. In tali sonde il canale è simile ad un incavo cuneiforme escavato al centro del III distale della superficie laterale più ampia della sonda; l’apice rivolto in basso contrae rapporti di contiguità con la superficie di emissione della sonda stessa. L’opportuna distribuzione dei trasduttori sulla superficie di emissione permette una soddisfacente visualizzazione dell’ago.
La forma a cuneo del canale consente l’introduzione dell’ago sia in maniera perpendicolare che obliqua, potendo questo scorrere lungo tutta l’ampiezza del settore circolare del canale. La possibilità di scegliere l’adeguata inclinazione dell’ago comporta indiscutibili vantaggi nell’esecuzione dell’esame.
L’introduzione perpendicolare, consentendo un tragitto più breve, nel caso di un’elevata consistenza del bersaglio, riduce la possibilità di deviazione della punta favorendo una maggiore accuratezza del prelievo. L’introduzione obliqua consente una migliore visualizzazione di tutto il tragitto di penetrazione dell’ago ed un’ottimale identificazione della punta.
La prerogativa comune alle sonde lineari è rappresentata dall’ampia superficie di contatto della sonda che permette di poter esercitare una maggiore pressione sui piani cutanei, in modo da ottenere una agevole e rapida penetrazione di un ago di piccolo calibro, senza la necessità di incisioni o dell’impiego di ago -guida. L’impiego delle sonde lineari presenta alcuni limiti:
• le dimensioni, in quanto l’ampia superficie della sonda mal si adatta a piccole aree da insonare;
• la forma, poiché la superficie lineare è poco compatibile con taluni distretti anatomici concavi e convessi;
• la lunghezza del canale di scorrimento dell’ago, in quanto per circa 3-6 cm l’ago non può essere utilizzato perché contenuto all’interno del canale stesso della sonda. Da ciò la necessità, e quindi lo svantaggio di utilizzare aghi più lunghi.
Le sonde settoriali si caratterizzano per le ridotte dimensioni che le rendono molto maneggevoli ed indicate per prelievi alquanto complessi, per i quali si rende necessaria un’estrema precisione nel raggiungimento di bersagli di piccole dimensioni o allocati in sedi anatomiche di difficile accesso. Esse si distinguono in sonde meccaniche ed elettroniche: le prime, utilizzate prevalentemente per esami internistici e come supporto all’interventistica, sono caratterizzate da un cristallo singolo fatto ruotare da un motore sincronizzato; le seconde, impiegate il più delle volte in esami cardiologici, sono caratterizzate da un’esigua quantità di cristalli che permette una discreta penetrazione del fascio ultrasonoro ma non consente un’eccellente risoluzione di immagine.
In entrambi i modelli, l’emissione del fascio ultrasonico consente una discreta risoluzione spaziale di immagine, in particolare sui margini periferici del settore.
Le sonde convex sono sonde elettroniche caratterizzate dall’ attivazione sequenziale dei cristalli. La forma convessa le rende idonee ai più svariati tipi di indagini ecografiche; attualmente sono le più usate in esami internistici ed ostetrico-ginecologici. In particolare esse ben si adattano a superfici concave e comprimibili.
Va sottolineato che la variabilità dell’ampiezza della curvatura condiziona la quantità e la densità dei cristalli per superficie di emissione e, quindi, la qualità dell’immagine.
Sonde per strutture superficiali
Le sonde per strutture superficiali, come già detto, sono solitamente lineari. In passato, venivano utilizzate sonde con dispositivo di guida dell’ago perpendicolare al piano di emissione degli ultrasuoni (canale centrale per l’inserzione dell’ago); oggi sono impiegate prevalentemente sonde provviste di dispositivo di guida dell’ago applicabile lateralmente ad esse, ad inclinazione e calibro variabile.
Sonde endocavitarie
Le sonde endocavitarie sono utilizzate per l’insonazione endorettale ed endovaginale.
Esse sono dotate di un’impugnatura anatomica di forma cilindrica. La parte che viene inserita nella cavità da insonare (lunghezza 18-20 cm ca.) presenta anch’essa forma cilindrica ma calibro minore e, quindi, anatomicamente compatibile con l’ampolla rettale od il canale vaginale. La superficie di emissione degli ultrasuoni può essere paragonata a quella di una sonda microconvex con ampiezza della curvatura variabile a seconda dei modelli.
Dispositivi di guida
I disposititivi di guida hanno apportato un notevole miglioramento alle tecniche di interventistica ecografica che un tempo venivano eseguite con tecnica a mano libera (l’ago risultava svincolato dalla sonda) – che richiedeva estrema manualità ed esperienza dell’operatore – ed hanno consentito che le manovre diagnostiche e terapeutiche possano essere eseguite in maniera più agevole e precisa. Alcuni operatori esperti usano ancora questa tecnica con successo.
Diversi sono i dispositivi di guida attualmente impiegati.
La maggior parte dei dispositivi oggi in uso è applicabile sulla superficie laterale minore della sonda e permette un ingresso obliquo dell’ago, fatta eccezione per alcune sonde (solitamente lineari), ormai in disuso, già dotate di canale simile ad un incavo cuneiforme realizzato sulla superficie laterale maggiore della sonda (vedi sonde lineari con canale conformato a triangolo od a settore). L’angolo d’incidenza può essere fisso o variabile; il calibro del canale del dispositivo varia in rapporto al calibro degli aghi (dai 14 ai 25 G).
I dispositivi laterali – applicabili alla maggior parte delle sonde (linear, sector, convex) – permettendo l’introduzione obliqua dell’ago, rendono possibile un approccio obliquo al bersaglio.
Si differenziano per dimensioni e materiali, ma soprattutto per le caratteristiche di angolazione.
Alcuni sono dispositivi ad angolo fisso, in genere di 15° o 30°; altri ad angolo variabile tra 15° e 45°, sino ad arrivare alla massima ampiezza di 75° (ma solo per alcuni tipi di sonde).
Per qualsiasi angolazione è necessario che ad essa corrisponda un marker elettronico visibile sul monitor con uguale ampiezza di angolo, al fine di valutare la direzione d’ingresso ed il tragitto dell’ago e conferire maggiore accuratezza al prelievo.
Tali dispositivi sono adatti specialmente per:
• manovre di interventistica in distretti corporei, quali spazi intercostali, epigastrio, regione pelvica, dove il raggiungimento della lesione-bersaglio è agevolato dalle dimensioni ridotte della strumentazione e dalla possibilità di variare la direzione della traiettoria;
• l’interventistica su lesioni/bersaglio situate al di sotto di strutture che è opportuno non attraversare (sfondati costo-frenici, grossi vasi);
• l’interventistica della milza e delle lesioni sottocapsulari degli organi parenchimatosi.
I vantaggi che derivano dall’uso di tali dispositivi sono:
• compatibilità con la maggior parte delle sonde;
• maggiore maneggevolezza dovuta alle piccole dimensioni del complesso sonda-dispositivo;
• facile centratura del bersaglio, per l’aumentata accuratezza conferita dai markers;
• agevole e costante visualizzazione dell’ago.
Gli svantaggi sono rappresentati da:
• possibile deviazione della traiettoria obliqua dell’ago, per l’eventuale elevata consistenza dei tessuti che si antepongono alla lesione/bersaglio;
• necessità di utilizzare aghi più lunghi, in quanto l’angolazione determina un tragitto superiore per il raggiungimento del bersaglio.
Di fronte ad una così ampia varietà di sonde e dispositivi, al medico operatore non resta che valutare di volta in volta la strumentazione più idonea all’esame da eseguire. Non esiste, infatti, una sonda od un dispositivo ideale per ogni situazione.
Essi vanno scelti in base alle dimensioni, alla sede e alla profondità della lesione-bersaglio, alla consistenza della stessa e dei tessuti circostanti, alla struttura dei tessuti che devono essere attraversati dall’ago durante il suo percorso, alla collaborazione del paziente e, non ultimo, alla professionalità dell’operatore.
Aghi
Con l’evolversi delle sonde e dei dispositivi ecografici di guida, si è ottenuto anche un progressivo miglioramento degli aghi, con conseguente incremento dell’efficacia e della sicurezza del prelievo bioptico. Gli aghi differiscono tra loro per dimensioni, conformazione della punta e meccanismi di campionamento e calibro, il quale viene misurato in mm o in Gauge.
Convenzionalmente, si suddividono in: non trancianti e trancianti.
Gli aghi non trancianti sono abitualmente di piccolo calibro (23-27 G) ed utilizzati preferibilmente per realizzare prelievi citologici (FNB o FNAB: Fine Needle (Aspiration) Biopsy; FNAC: Fine Needle Aspiration Citology).
Essi presentano la punta conformata a becco di flauto, con angolazione che varia dai 25° ai 30° (modelli Chiba e spinale).
Alcuni modelli di aghi non trancianti presentano delle caratteristiche peculiari, come una scanalatura laterale per l’aspirazione di una quantità aggiuntiva di materiale citologico e microfrustoli o fori laterali multipli attraverso i quali è possibile incrementare il campionamento della lesione. Per il loro inserimento, alcune volte è necessario praticare preventivamente con un bisturi una piccola incisione della parete da attraversare.
L’adozione di aghi con scanalature laterali, nonostante le ridotte dimensioni di calibro, è controindicata nel parenchima polmonare, epatico o splenico per l’elevata possibilità di complicanze (pneumotorace o emarragia).
Gli aghi trancianti sono impiegati per effettuare prelievi microistologici (Core Biopsy).
Essi agiscono mediante un meccanismo di taglio che consente di prelevare microfrustoli di tessuto e sono distinti, a seconda del calibro, in:
– aghi sottili o di piccolo calibro, con diametro esterno inferiore ad 1 mm;
– aghi di grosso calibro, con diametro esterno superiore ad 1 mm.
Prima di procedere alla descrizione delle peculiarità di tali aghi, occorre precisare che gli aghi trancianti di piccolo calibro sono generalmente più adatti alla diagnostica oncologica, mentre quelli di calibro maggiore (medio e grosso calibro) sono più idonei ad ottenere frammenti di tessuto che, per la loro maggiore grandezza, meglio si prestano alla risoluzione di quesiti istofunzionali.
Gli aghi trancianti sottili o di piccolo calibro (tipo Menghini o Surecut) agiscono mediante un meccanismo di taglio, in virtù della conformazione particolare della punta. Essa, infatti, presenta una struttura conica con angolazione compresa tra 45° e 90° – adatta a sezionare un microfrustolo – con bordo esterno smussato circolarmente e tagliente nel suo interno, ed un mandrino che viene retratto una volta raggiunta la lesione.
Modelli particolari di aghi trancianti di piccolo calibro sono costituiti dagli aghi di Franzeen e di Otto, caratterizzati da una punta conformata a corona, le cui cuspidi sono costruite in modo da sezionare il tessuto mediante un movimento rotatorio.
I vantaggi derivanti dall’uso di aghi trancianti di piccolo calibro consistono nella possibilità di:
– ottenere frustoli di tessuto che conservano i rapporti tra epitelio e stroma
– ottenere, anche in tessuti di consistenza aumentata, una quantità adeguata di materiale da analizzare;
– studiare i rapporti tra tessuto patologico e tessuto sano circostante.
Il materiale prelevato può essere trattato, sia secondo la tecnica citologica dello striscio, sia secondo la tecnica istologica dell’inclusione (microistologia).
Gli aghi trancianti di grosso calibro presentano caratteristiche uguali a quelle degli aghi sottili ma se ne differenziano per il maggiore calibro (15-20 G).
Vengono utilizzati sempre meno frequentemente, essendo più lesivi e presentando una percentuale più elevata di complicanze, tanto da richiedere, in alcuni casi, l’ospedalizzazione del paziente. Ne esistono di diverso calibro e diversa conformazione.
Tra i modelli più utilizzati, si ricordano il Menghini, con stiletto interno estraibile, a punta conica o variamente conformata ed il Tru-Cut, con un meccanismo a ghigliottina, entrambi indicati per prelievo di microfrustoli di tessuto.
È opportuno ricordare la possibilità di usare anche aghi trancianti di grosso calibro con un congegno automatico. Attraverso un meccanismo a molla, questi aghi consentono di recidere un frustolo di tessuto, ottimale sia per qualità che per quantità. La procedura per effettuare il prelievo è semplice, tanto da rendere agevoli anche i prelievi più complessi e delicati. Le complicanze non sono dissimili da quelle che possono verificarsi in seguito all’utilizzo di aghi tradizionali. I tempi della manovra diagnostica sono ridotti, così come il disagio per il paziente. Anche per la scelta degli aghi non esiste uno standard di riferimento. Le variabili che condizionano la scelta sono: l’indicazione al prelievo rispettivamente cito- o istologico; la manualità dell’operatore con un determinato tipo di ago; la dimestichezza del patologo a lavorare con materiale citologico e/o istologico; il grado di collaborazione del paziente; la sede e le dimensioni della lesione, la eventuale presenza coagulopatie o di diatesi emorragica.
È opportuno, ad esempio, che un prelievo da una lesione di piccole dimensioni o in prossimità di strutture vascolari, sia condotto con aghi di piccolo calibro; viceversa, un prelievo da eseguire su una lesione grossa o a ricca componente fibrotica, potrebbe richiedere l’utilizzo di aghi trancianti di grosso calibro. Allo scopo di stabilire l’attendibilità dei prelievi bioptici percutanei eseguiti con guida strumentale, abbiamo condotto uno studio utilizzando cinque tipi di ago, di uguale lunghezza (15 cm) e calibro (18G), ma con diversa morfologia della punta.
La validità diagnostica dei risultati bioptici ha dimostrato che le prestazioni degli aghi sono pressoché sovrapponibili.

Il rapido sviluppo delle tecniche diagnostiche di imaging ed in particolare dell’esame ecotomografico con tutte le sue varie applicazioni (Doppler, color, power, etc.) ha dato una grande svolta alla realizzazione di tecniche di prelievo (bioptico, microistologico, citologico, etc.) US-assistite sempre più sofisticate e precise.
Le metodiche diagnostiche ecoassistite nei vari organi e distretti anatomici sono:
– prelievo citologico, con ago sottile (23-27G) non tranciante;
– prelievo istologico (microistologico), con ago di piccolo calibro (21-23G) modificato tranciante o ago di grosso calibro tranciante (20G o superiori);
– aspirazione di materiale liquido (raccolte libere o saccate, fluidi e liquidi biologici in genere);
– iniezione di mezzi di contrasto radiografici.
Tra le tecniche di prelievo, la biopsia con ago sottile (FNAB) ecoassistita è la metodica diagnostica di elezione sia per i principali organi addominali che per le strutture superficiali. Alla luce dell’esperienza degli ultimi venti anni, la FNAB è ormai univocamente ritenuta una metodica accurata, sicura e molto affidabile, sempreché venga eseguita da personale altamente qualificato ed addestrato in tal senso. Bisogna riconoscere che, solo grazie alla tecnica di prelievo US-assistita, complesse metodologie di prelievo a scopo diagnostico sono oggi realizzabili agevolmente e con basso grado di morbilità.

Tecniche di esecuzione

Preparazione del paziente
La biopsia percutanea a scopo diagnostico sotto la guida degli US è una pratica diagnostica mininvasiva impiegata allo scopo di determinare l’eziologia di una massa, di una neoplasia o di un processo flogistico ovvero per stabilire se una massa, in paziente con malignità già nota, rappresenti una secondarietà o una malattia residua.
È buona norma procedere all’esame previo consenso informato sottoscritto dal paziente. Nel caso di biopsia a scopo diagnostico di organi e tessuti profondi, non è sempre necessaria l’ospedalizzazione del paziente, potendo il prelievo essere effettuato ambulatorialmente, con un limitato periodo di osservazione (dalle due alle tre ore), od in regime di day-hospital. La scelta viene dettata dalle condizioni cliniche del paziente, dalla sede e dal tipo di lesione da bioptizzare, dal tipo di strumentazione utilizzata.
È necessario valutare lo stato di coagulazione del paziente attraverso la conta piastrinica ( le manovre bioptiche sono controindicate con piastrine <50.000/mmc), la determinazione del tempo di protrombina (PT PTT), del tempo di sanguinamento, il test di solubilità del coagulo, il dosaggio dei singoli fattori della coagulazione e la identificazione di eventuali inibitori, allo scopo di escludere o confermare una coagulopatia. Inoltre, in caso di biopsie che richiedono l’uso di aghi di calibro superiore ad 1 mm è buona norma avere a disposizione una sacca di sangue compatibile con l’emogruppo ed il fattore del paziente. Preferibilmente, tali prelievi dovrebbero essere eseguiti in regime di ricovero ospedaliero. In genere, per questo tipo di procedure diagnostiche l’eventuale anestesia locale è in funzione del calibro dell’ago adoperato, come pure l’eventuale premedicazione. Solo in caso di scarsa compliance del paziente, si può ricorrere alla somministrazione di blandi sedativi e di anticolinergici. Per i pazienti in età pediatrica sarà necessario eseguire il prelievo in narcosi.
Esecuzione della manovra bioptica
Per l’esecuzione di punture diagnostiche di organi e tessuti profondi è richiesto personale esperto ed opportunamente addestrato, in grado di:
– gestire il paziente, il cui decubito deve essere confortevole ma idoneo alla centratura della lesione;
– realizzare un’interazione dinamica tra l’imaging ecografico ed i movimenti da imprimere all’ago.
Nell’esecuzione dell’esame bioptico, l’operatore deve procedere ad una serie di valutazioni indispensabili al fine di ridurre al minimo i rischi, le complicanze e le inadeguatezze del prelievo. In un primo tempo, egli valuterà l’approccio più adatto al tipo di lesione da bioptizzare.
Tra gli approcci più frequentemente utilizzati, ricordiamo:
– il sottocostale, per le lesioni epatiche caudali;
– l’intercostale destro, per le lesioni epatiche alte;
– l’intercostale e il sottocostale sinistro per la milza;
– il posteriore, per le lesioni renali, surrenaliche e del retroperitoneo, allo scopo di evitare il seno costo-frenico;
– il sovrapubico, per le patologie pelviche.
Successivamente, andrà a calcolare la profondità del bersaglio mediante la scala centimetrata situata ai margini del monitor o, ancor più accuratamente, con i caliper di misurazione elettronica.
In seguito, determinante ai fini della raccolta del materiale più idoneo da esaminare, sarà la scelta della zona della lesione da bioptizzare, che deve essere sempre periferica ad una eventuale area necrotica. In caso di lesioni ad ecostruttura mista, il prelievo dovrà essere randomizzato nelle aree di diversa ecostruttura per garantire una risposta citologica corretta.
Infine, l’operatore sceglierà il percorso ottimale, preferendo il più breve, compatibilmente con la topografia della lesione, per ridurre al minimo le possibilità di deviazione dell’ago.
Sempre in merito al tragitto dell’ago, è opportuno sottolineare che in caso di interposizione tra la sonda e la lesione/bersaglio di un organo o di un viscere, è preferibile, ove possibile, scegliere un percorso obliquo per evitarne la inopportuna penetrazione.
In tal caso, occorre evitare che l’ago, decorrendo tangenzialmente all’organo, produca lacerazioni alla capsula con gravi conseguenze emorragiche. Inoltre, si consiglia, nel caso di lesioni altamente vascolarizzate e prossime alla superficie dell’organo (ad esempio lesioni subglissoniane), di penetrare con l’ago in modo da lasciare un adeguato spessore di parenchima tra la lesione e la capsula, allo scopo di contenere un eventuale stravaso emorragico.
Con aghi di piccolo calibro è possibile attraversare il parenchima polmonare, visceri cavi, fegato, vescica e piccoli vasi. È buona norma, invece, evitare grossi vasi e tronchi nervosi, anse intestinali iperdistese in corso di ileo meccanico o paralitico ed anse intestinali di pazienti immunocompromessi, onde evitare sepsi non controllabili.
Va tenuto presente, inoltre, che nel caso in cui durante la manovra di avanzamento dell’ago la parete della lesione si presenti duro-elastica tanto da avvallarsi e da non venirne attraversata, è consigliabile effettuare una maggiore pressione, preferibilmente sempre al centro della lesione stessa, per facilitare la penetrazione dell’ago.
Il prelievo può essere eseguito
– a mano libera;
– mediante sonde dedicate ad accogliere dispositivi di guida.
La tecnica a mano libera può essere eseguita con ogni tipo di sonda, risultando più agevole quando si impiegano sonde lineari e convex.
Dopo aver disinfettato il campo operatorio ed averlo circoscritto con telini sterili, si posiziona la sonda appena lateralmente al punto d’ingresso dell’ago imprimendo ad essa una lievissima inclinazione, tale da consentire sempre la visualizzazione della lesione bersaglio. Onde evitare contaminazioni ed infezioni, la sonda deve essere opportunamente contenuta in un sacchetto di plastica (biopsybag) o in un coprisonda di caucciù sterili, o disinfettata con alcool iodato o Betadine (prima della biopsia) e con Cydex (dopo). È consigliato preferibilmente l’uso di gel sterile come mezzo di accoppiamento.
Preliminarmente all’introduzione, è opportuno imprimere, nell’area d’ingresso prefissata, una leggera pressione con l’involucro sterile dell’ago, in modo da generare un’ombra acustica sull’immagine del monitor in corrispondenza della lesione bersaglio, consentendo in tal modo di valutare l’esattezza della traiettoria. A questo punto, si controlla la distanza cute-bersaglio con la scala centimetrata del monitor la quale corrisponderà anche alla profondità di penetrazione dell’ago e si procede, quindi, al prelievo. La tecnica a mano libera ha il vantaggio di consentire all’operatore di aggiustare la traiettoria dell’ago ogni volta si verifichi un disallineamento. Affinché ciò sia possibile, però, è necessaria la costante visualizzazione della punta dell’ago. A tale scopo possono utilizzarsi svariati accorgimenti tecnici, tra i quali ricordiamo: brevi e rapidi movimenti di andata-ritorno dell’ago all’interno del bersaglio per favorire il rientro della punta nel fascio acustico della sonda o una limitata estrazione e reintroduzione del mandrino; inoltre, esistono aghi il cui mandrino verso la punta è dotato di scanalature o satinature, le quali provocano microincamerazioni di aria che generano enhancement di ecoriflettenza e dunque spot ecogeni che rendono meglio visibile la punta stessa dell’ago. L’esecuzione del prelievo bioptico con sonde dedicate ad accogliere dispositivi di guida costituisce la tecnica di elezione per bioptizzare lesioni profonde ed in particolare quelle di piccole dimensioni per le quali è necessaria un’elevata accuratezza e precisione del prelievo.
Anche in questo caso, la buona riuscita dell’esame è inevitabilmente legata alla netta visualizzazione della punta dell’ago all’interno della lesione. Si posiziona il trasduttore in modo tale che la linea di guida elettronica rappresentata sul monitor (marker) attraversi il centro della lesione. La puntura, sotto guida ecografica, avviene con l’ausilio di un dispositivo di guida per l’ago, applicato lateralmente alla sonda. Tale dispositivo presenta inclinazione e calibro variabile per accogliere aghi di diverso calibro e consentirne la modifica dell’inclinazione di penetrazione in rapporto alla sede del bersaglio, già precedentemente allineato con il marker elettronico del monitor. Una volta centrata la lesione, l’esecuzione della biopsia richiederà l’utilizzo di aghi di diverso formato, nonché piccole variazioni nella modalità del prelievo, a seconda che si tratti di un prelievo citologico o istologico.
Nel caso di un prelievo citologico (FNAB), centrata e trasfissa la lesione, rimosso il mandrino dall’ago e collegatolo ad una siringa posta in aspirazione, si eseguono alcuni movimenti di “va e vieni” all’interno della lesione. È stato dimostrato che una maggiore accuratezza del prelievo è direttamente proporzionale al numero e all’ampiezza delle escursioni. Una volta effettuato il prelievo, prima della retrazione dell’ago, si rilascia lentamente lo stantuffo onde evitare l’aspirazione di materiale non appartenente alla lesione; inoltre, per impedire disseminazione del materiale prelevato, è opportuno non disconnettere la siringa dall’ago.
Una variante è quella del prelievo per “capillarità”: in tale metodica viene introdotto l’ago nella lesione non collegato ad una siringa; rimosso il mandrino seguiranno semplici e delicati movimenti di “va e vieni” che consentiranno la risalita per capillarità di materiale cellulare nel lume dell’ago. Terminato il prelievo ed estratto l’ago, lo si connetterà alla siringa preventivamente caricata con una esigua quantità di aria, che sarà insufflata nell’ago per favorirne la fuoriuscita del materiale cellulare risalito per capillarità all’interno del lume. Questa tecnica è particolarmente indicata in lesioni altamente vascolarizzate, ove si rischierebbe di aspirare una quantità notevole di sangue che comprometterebbe la lettura del prelievo citologico.
Nel caso di un prelievo istologico-microistologico (Core biopsy) le modalità di raggiungimento della lesione bersaglio sono pressoché sovrapponibili a quelle del prelievo citologico, mentre la tecnica di esecuzione è strettamente legata al tipo di ago utilizzato. Così, ad esempio, l’uso di un ago Menghini- modificato (prelievo microistologico) consente, una volta giunto in prossimità della lesione, di fissare in aspirazione lo stantuffo della siringa, il quale collegato al mandrino, ne farà arretrare la punta sporgente e libererà la parte distale tranciante della camicia dell’ago che fungerà da lama, consentendo di ottenere il microfrustolo e contemporaneamente aspirarlo nel suo lume. La peculiarità di questo tipo di ago è che esso consente, con un solo passaggio all’interno della lesione, di ricavare un frustolo per microistologia il cui spessore sarà determinato dalla misura (espressa in G) dell’ago usato.
Preparazione e trattamento del materiale
Una volta prelevato, il materiale va preparato, trattato ed analizzato per stabilire la natura della lesione.
Il materiale citologico prelevato con ago sottile va depositato su uno o più vetrini che vengono strisciati e fissati in alcool al 95% per la colorazione di Papanicolaou (PAP) e fissati all’aria per la colorazione di May-Grümwald Giemsa (MGG) e similari (Diff Quik = DQ); eventuale materiale residuo può essere raccolto previo lavaggio del cono dell’ago con una soluzione di formalina tamponata al 10% o di alcol etilico 95% ed acido picrico (al 50% vol/vol) e processata per inclusione sotto forma di “cell block”, con l’ottenimento di un preparato microistologico.
Terminato il prelievo, nel caso in cui esso sia stato eseguito con ago connesso ad una siringa posta in aspirazione, si rilascia lo stantuffo in modo da evitare, durante l’estrazione dell’ago, l’aspirazione di materiale non pertinente alla lesione; quindi si estrae l’ago e lo si disconnette dalla siringa. Il materiale contenuto nel lume dell’ago dovrà essere depositato così come di seguito consigliato: previa aspirazione di qualche cc di aria nella siringa, la si riconnette all’ago la cui punta verrà posta quasi a contatto con il vetrino; delicatamente si sospingerà il pistone in avanti per far sì che l’aria insufflata faccia defluire il materiale prelevato.
Nel caso in cui il prelievo sia stato eseguito “per capillarità”, estratto l’ago, lo si connette ad una siringa preventivamente caricata con qualche cc di aria e si procede come sopra.
Per entrambe le tecniche, qualora l’ago sia provvisto di mandrino, la reintroduzione di quest’ultimo nel suo lume può favorire l’ulteriore recupero di materiale residuo. Tuttavia, bisogna precisare che questa manovra dovrà essere eseguita necessariamente soltanto dopo aver recuperato, strisciato e fissato il primo materiale ottenuto insufflando l’aria contenuta nella siringa. Se non venissero rispettati questi passaggi, durante il tempo necessario al reinserimento del mandrino, si rischierebbe la coagulazione del materiale deposto sul vetrino, che diventerebbe così inservibile ai fini diagnostici. Ne consegue che il nuovo materiale ottenuto attraverso tale manovra sarà depositato su un nuovo vetrino. Nell’allestimento di materiali a maggiore componente liquida si procederà come di seguito: il materiale deposto a gocce sul vetrino (delicatamente per evitare bolle di aria o spruzzi che darebbero vita ad artefatti) viene strisciato su vetrini ed il fluido residuo non strisciato viene raccolto in una provetta contenente un prefissativo (alcool al 50%, cytolyt™).
Per materiali corpuscolati il preparato si ottiene strisciando il materiale cellulare mediante un secondo vetrino che, posto sul vetrino in allestimento con il bordo minore ed inclinato di circa 45° rispetto al primo, viene fatto scivolare con movimento deciso, avendo cura, con opportune manovre, di separare la quota prevalentemente ematica da quella prevalentemente cellulare dello striscio . A questo punto i vetrini verranno fissati all’aria per la colorazione di May – Grümwald – Giemsa e fissati immediatamente in alcool etilico al 95% per almeno 15 minuti per la colorazione di Papanicolaou e/o per l’ematossilina – eosina. L’adozione di fissativi spray, composti da sostanze alcoliche a cui sono addizionate, in minima quantità, ceroidi o sostanze resinose, è sconsigliato per campioni di citopatologia aspirativa. Tali spray fissativi, che offrono il vantaggio di fissare il materiale sul vetrino e di proteggerlo con un sottile strato di cera, possono essere eventualmente usati per proteggere i vetrini già fissati con alcool al 95% che devono essere spediti via posta o corriere al Laboratorio. Le diverse modalità di rimozione del fissativo implicano la necessità di specificarne la natura quando il vetrino viene inviato al laboratorio.
Gli strisci fissati in etanolo devone restare immersi in esso sino alla loro processazione, poiché un parziale essiccamento dello striscio compromette la qualità dello stesso rendendone difficile o addirittura impossibile la lettura. I campioni citologici freschi, raccolti sotto forma di sospensioni cellulari in terreni di coltura standard quali RPMI con siero di vitello fetale al 2% possono essere utilizzati, inoltre, per studi di citofluorimetria, nel caso in cui la valutazione preliminare del campione citologico con colorazioni rapide (DQ) abbia posto il sospetto di malattia linfoproliferativa.
La recente introduzione della citologia su strato sottile consente, inoltre, di iniettare il prelievo citologico in un contenitore con fissativo a base di metanolo (cytolyt™) e di processare successivamente il campione mediante l’allestimento di strisci su strato sottile.
Con tale tecnica possono essere ottenuti da un unico campione più strisci su strato sottile che sono generalmente sovrapponibili tra loro per aspetti quali-quantitativi e che possono anche essere adoperati per studi ancillari di carattere diagnostico prognostico.
Strisci o sospensioni cellulari da agoaspirato , fissati in glutaraldeide, possono essere utilizzati per esami di Microscopia Elettronica con ottimi risultati qualitativi. Campioni citologici opportunamente fissati, sotto forma di strisci o di sospensioni cellulari, possono essere processati con tutte le comuni colorazioni citochimiche ed immunocitochimiche. Strisci o sospensioni cellulari vengono, altresì, comunemente usati per metodiche di ibridazione in situ non isotopica (NISH), o mediante l’uso di sonde fluorescinate (FISH) per lo studio di infezioni virali (ad es. l’infezione da virus di Epstein Barr) e per lo studio dell’amplificazione di oncogeni ad uso prognostico e terapeutico (Her-2, EGFR).
Gli aspirati costituiti da liquidi biologici vanno raccolti in una provetta contenente un liquido prefissativo (alcool bianco al 50%, cytolyt™) e debbono essere inviati rapidamente in laboratorio. La rapidità con la quale il materiale da esaminare perviene al laboratorio riduce le alterazioni a carico della struttura cellulare, provocate dalle più diverse condizioni che possono ricrearsi in provetta. La prefissazione dei campioni, però, provoca la precipitazione delle proteine in essi disciolte e la condensazione della cromatina nucleare, con la conseguente possibile formazione di coaguli, che dopo la centrifugazione, vengono – allo stesso modo del sedimento – fissati, inclusi in paraffina e trattati come se fossero campioni istologici. Una volta giunti in laboratorio, i campioni vengono centrifugati e il sedimento così ottenuto verrà adoperato per l’ottenimento di citocentrifugati o di preparati ottenuti dall’apposizione su vetrino di un filtro microporoso contenente il sedimento del materiale filtrato attraverso esso.
Le citocentrifughe concentrano direttamente le cellule su un vetrino eliminando il liquido attraverso un filtro cartaceo.
I filtri a membrana, in cellulosa od in policarbonato, dotati di membrane con micropori lasciano filtrare la componente liquida e trattengono le cellule. Le membrane vengono fissate e colorate con tecniche diverse a seconda dei materiali usati e, in un tempo successivo, vengono opportunamente disciolte.
Le colorazioni comunemente utilizzate per gli agoaspirati sono:
colorazione di May-Grümwald-Giemsa (MGG). Valuta le caratteristiche di colorabilità dei citoplasmi e delle sostanze extracellulari, utilizzando una miscela di due coloranti, uno basico (blu di metilene per la May-Grunwald; azzurro II per Giemsa) e uno acido (eosina, per entrambi). Tale colorazione è oggi sempre più largamente rimpiazzata dal Diff Quik™, che accoppia elevati livelli di rendimento qualitativo ad una brevissima durata della colorazione (40’’);
colorazione di Papanicolaou (PAP). Usata per: preparati di citologia esfoliativa ed aspirativa, consente di definire i dettagli nucleari e quindi di stabilire i caratteri di benignità o di malignità della cellula;
colorazione con ematossilina-eosina (E:E.).Preferita da patologi che interpretano prevalentemente preparati istopatologici o che non dispongono della colorazione PAP. Il materiale istologico ottenuto utilizzando un ago tranciante, viene fissato con formalina tamponata al 10%. Il frustolo, dopo una breve fissazione (max. 4 h), viene poi disidratato ed incluso in paraffina. L’inclusione in paraffina è indicata inoltre per:
– frammenti tissutali, ottenuti con aghi non trancianti (osservabili al microscopio);
– sedimenti di liquidi centrifugati;
– coaguli ematici.
Attualmente tutti i passaggi per l’inclusione del materiale in paraffina sono automatizzati e le procedure richiedono da un minimo di 6 ore, se si utilizzano apparecchiature sotto vuoto, ad un massimo di 24 ore. Il materiale, una volta incluso in paraffina solidificata, deve essere tagliato al microtomo. Dal taglio si ottengono sezioni seriate dello spessore di 4; queste verranno numerate progressivamente e, in parte, colorate con ematossilina-eosina. Le restanti sezioni non colorate potranno essere utilizzate per le più comuni colorazioni istochimiche speciali, quali, ad esempio:
metodo di Grimelius: serve a dimostrare la presenza di granulazioni citoplasmatiche argentofile;
metodo di Masson – Fontana: dimostra la presenza di granulazioni citoplasmatiche argentaffini;
colorazione tricromica di Masson. Colora in maniera differenziale le diverse componenti del tessuto connettivo;
PAS reazione: dimostra la presenza di polisaccaridi semplici, mucopolisaccaridi acidi e neutri;
colorazione con alcian blu: colora i mucopolisaccaridi acidi;
colorazione con mucicarminio: colora le mucine neutre.
Controindicazioni e complicanze della puntura percutanea ecoguidata (Core Biopsy-FNAB) Attualmente, la biopsia percutanea eco guidata (Core Biopsy – prelievo microistologico) e l’agoaspirazione percutanea ecoguidata con ago sottile (FNAB – prelievo citologico) rappresentano metodiche relativamente semplici nel definire le caratteristiche cellulari dei tessuti e di eventuali lesioni focali. Sono tendenzialmente prive di rischi, purché si adottino opportune precauzioni.
Le controindicazioni alla Core Biopsy e alla FNAB si distinguono in assolute e relative.
Le controindicazioni assolute sono rappresentate da:
– diatesi emorragica;
– rischio di puntura ed attraversamento di grossi tronchi nervosi e/o vascolari;
– rischio di puntura ed attraversamento di angiosarcoma con ago di grosso calibro;
– puntura ed attraversamento di tessuto pancreatico sano con ago di grosso calibro (induzione di pancreatite).
Le controindicazioni relative sono rappresentate da:
– emangioma superficiale;
– epatocarcinoma superficiale;
– cisti idatidea superficiale;
– tumori neuroendocrini;
– lesione dell’ilo epatico con ittero ostruttivo;
– formazioni liquide ricoperte da anse coliche;
– formazioni surrenaliche sospette per feocromocitoma;
– ascesso sottodiaframmatico accessibile solo per via intercostale.
Considerate metodiche sicure ed altamente affidabili, la Core Biopsy e la FNAB non sono tuttavia scevre (in particolar modo la prima) da complicanze maggiori e mortalità.
Tra le complicanze più temute, sicuramente vanno considerate: le emorragie (per lesioni di organi e/o tessuti riccamente vascolarizzati o per alterazione del sistema della coagulazione); il pneumotorace (PNX), raro in corso di biopsie ecoguidate epatiche o spleniche, ma possibile conseguenza di prelievi condotti su lesioni profonde del parenchima mammario o polmonare; l’insemenzamento neoplastico. Per quanto concerne quest’ultima complicanza, è importante approfondire alcuni aspetti: quando l’ago viene retratto dalla lesione bioptizzata vi è la possibilità che si distacchino (specie per prelievi eseguiti con ago 16-20G) alcune cellule neoplastiche;
la disseminazione è strettamente dipendente dal calibro dell’ago, grado di adesività delle cellule, dall’istotipo neoplastico e dall’entità della componente stromale.
La mortalità legata all’esecuzione di biopsie ecoguidate è relativamente bassa. Numerosi sono gli studi monocentrici (Gebel 1986, Weiss 1988, Bret 1988, Nolsoe 1990) e policentrici (Livraghi 1983, Smith 1986, Weiss 1988, Fornari 1989) condotti per definire un tasso di mortalità, che ad oggi risulta non superiore al 5-6%. Ecografia interventistica terapeutica

L’ecografia interventistica, dopo essersi affermata nella sua espressione diagnostica, è stata impiegata anche come alternativa terapeutica, ottenendo in breve tempo molti consensi.
L’impiego di aghi e cateteri ha permesso di ridurre i disagi e i rischi della chirurgia, ma soprattutto ha abbreviato l’iter diagnostico-terapeutico, riducendo le spese sanitarie. Le metodiche utilizzate dall’ecografia interventistica terapeutica (EIT) sono rappresentate da:
– agoaspirazione (evacuazione di raccolte fluide libere o saccate: ascessi, raccolte sierose, ascite, etc.);
– drenaggio percutaneo (drenaggio biliare, colecistostomia, drenaggio di raccolte ascessuali);
– iniezione di sostanze (iniezione intracavitaria di antibiotici chemioterapici e/o sostanze farmacologiche in genere, iniezioni intraparenchimali di agenti citolesivi, iniezione di chemioterapici per terapia locoregionale.)
– trattamento percutaneo ecoguidato delle formazioni cistiche (aspirazione, etc.); – nefrostomia percutanea;
– trattamento percutaneo ecoguidato di lesioni solide (ablazione termica con radiofrequenza, laser, iniezione percutanea di etanolo e di eventuali altre sostanze necrotizzanti) terapie fetali in utero.

Agoaspirazione
Materiali
L’agoaspirazione è ritenuta la metodica elettiva per l’evacuazione, mediante ago o ago-cannula, di raccolte fluide (libere o saccate) di varia origine e natura, cui si ricorre ogni qualvolta non sia possibile o necessario il posizionamento di un catetere. Per la sua attuazione è richiesta una strumentazione minima e di basso costo.
Gli aghi utilizzati per l’agoaspirazione si distinguono, in base al calibro misurato in mm o in Gauge (G), in:
– aghi di piccolo calibro(diametro esterno inferiore ad 1 mm);
– aghi di grande calibro(diametro esterno uguale o maggiore di 1 mm.
Quelli più comunemente usati per questa pratica sono quelli muniti di una punta non tranciante ed un mandrino completamente estraibile. Ne esistono diversi tipi, tra i quali:
– l’ago spinale;
– l’ago di Chiba. L’ago spinale, di calibro compreso tra 18 e 25 G, è costituito da una cannula (camicia) contenente un mandrino: entrambi terminano con punta angolata di 25°.
L’ago di Chiba è composto da una cannula a pareti sottili contenente un mandrino, che terminano entrambi con punta angolata di 30°. Esso ha un calibro compreso tra 18 e 25 G; nella pratica comune sono più frequentemente utilizzati aghi da 22G (0,7 mm). Vi è da precisare che in questi aghi l’angolazione della punta può provocare una lieve deviazione della traiettoria, più accentuata nel caso di bersagli profondi. Nell’evacuazione di raccolte particolarmente dense o di ascessi è previsto, inoltre, l’uso di aghicannula di vari formati. Alcuni sono costituiti da un catetere in teflon con fori terminali e da una cannula a punta angolata; altri sono composti da un catetere in teflon con o senza fori terminali e da una cannula a punta angolata dotata di mandrino interno. Le punte di entrambi i modelli di aghi-cannula presentano un’angolazione compresa tra i 20° e i 25°.
Tecnica di esecuzione
L’agoaspirazione viene eseguita con l’ausilio di sonde ecografiche che si differenziano di volta in volta in funzione della profondità della raccolta e della sua allocazione. Per le raccolte profonde addominali, verranno usate sonde convex,microconvex o settoriali da 3,75 MHz; per le raccolte superficiali, si adopereranno sonde convex o lineari rispettivamente da 6 e da 8 MHz. Oltre alla profondità della raccolta e la sua allocazione, l’entità e la fluidità della stessa sono gli elementi determinanti per la scelta dell’ago più adatto al trattamento.
Dopo un’attenta esplorazione ecografica del territorio anatomico da trattare, si sceglie il tragitto più idoneo che dovrà percorrere l’ago per il raggiungimento del bersaglio.
Disinfettato il campo operatorio e circoscrittolo con telini sterili, si posiziona la sonda appena lateralmente al punto d’ingresso dell’ago imprimendo ad essa una lievissima inclinazione, tale da consentire sempre la visualizzazione della lesione bersaglio.
Onde evitare contaminazioni ed infezioni, la sonda deve essere opportunamente contenuta in un sacchetto di plastica (biopsybag) o in un copri sonda di caucciù sterili, o disinfettata con alcool iodato o Betadine (prima della puntura percutanea) e con Cydex (dopo). È consigliato preferibilmente l’uso di gel sterile come mezzo di accoppiamento.
La puntura, sotto guida ecografica, avviene con tecnica a mano libera o con l’ausilio di un dispositivo di guida per l’ago, applicato lateralmente alla sonda.
La tecnica a mano libera può essere eseguita con ogni tipo di sonda, risultando più agevole quando si impiegano sonde lineari, convex o microonvex, come gia detto, in rapporto alla profondità ed alla topografia della lesione.
Preliminarmente all’introduzione, è opportuno imprimere, nell’area d’ingresso prefissata, una leggera pressione con l’involucro sterile dell’ago o con il dito guantato, in modo da generare un’ombra acustica sull’immagine del monitor in corrispondenza della lesione bersaglio, consentendo in tal modo di valutare l’esattezza della traiettoria. A questo punto, si controlla la distanza cute-bersaglio con la scala centimetrata del monitor la quale corrisponderà anche alla profondità di penetrazione dell’ago e si procede, quindi, all’agoaspirazione.
Questa tecnica ha il vantaggio di consentire all’operatore di aggiustare la traiettoria dell’ago ogni volta si verifichi un disallineamento. La tecnica con dispositivo di guida si avvale delle stesse sonde utilizzabili per la tecnica a mano libera. Si posiziona il trasduttore in modo tale che la linea di guida elettronica rappresentata sul monitor (marker) attraversi il centro della raccolta bersaglio. La puntura, sotto guida ecografica, avviene con l’ausilio di un dispositivo di guida per l’ago, applicato lateralmente alla sonda. Tale dispositivo presenta inclinazione e calibro variabile per accogliere aghi di diverso calibro e consentirne la modifica dell’inclinazione di penetrazione in rapporto alla sede del bersaglio, già precedentemente allineato con il marker elettronico del monitor. Questa tecnica è particolarmente indicata per l’aspirazione di raccolte di piccole dimensioni e di difficile accesso. Per entrambe le tecniche, se si utilizza un ago di piccolo calibro non è necessario praticare anestesia locale della regione cutanea interessata.
Raggiunto il bersaglio, si estrae il mandrino e si raccorda il cono dell’ago a quello di una siringa. Se si impiega un ago-cannula, raggiunta la raccolta, si procede all’estrazione del mandrino per verificare se affiora spontaneamente il materiale contenuto nella cavità da evacuare. Nel caso che non risalga spontaneamente, si collega l’ago ad una siringa e la si pone in aspirazione per verificare il corretto posizionamento dell’ago. Si lascia quindi a dimora la cannula fino allo svuotamento della cavità. Terminata l’evacuazione della raccolta, generalmente si impiega soluzione fisiologica tiepida per il lavaggio della cavità residua. Si consiglia di iniettarne una quantità inferiore a quella del materiale liquido aspirato, per evitare brusche variazioni pressorie all’interno della cavità. Nel caso di raccolte infette, un aumento della pressione potrebbe, infatti, provocare una contaminazione dei tessuti circostanti per spandimento extracavitario del materiale. L’agoaspirazione è una metodica semplice, di facile attuazione, praticabile ambulatorialmente ed al letto del paziente, indolore, ben tollerata e ripetibile.

Drenaggio percutaneo
Nel caso si renda necessario favorire la fuoriuscita continua e protratta nel tempo di liquidi biologici da una cavità naturale o neoformata, all’agoaspirazione si preferisce il drenaggio percutaneo.
Materiali
Lo strumentario viene scelto dall’operatore in base alla propria esperienza, alla compliance del paziente, alla sicurezza e alla semplicità della manovra. È costituito da:
A) aghi;
B) fili guida;
C) dilatatori;
D) introduttori per cateteri;
E) cateteri;
F) drenaggi aspirativi;
G) sistemi di fissaggio.
A) Gli aghi impiegati per il drenaggio percutaneo sono generalmente quelli utilizzati per l’agoaspirazione: l’ago spinale, l’ago di Chiba, l’ago cannula; si usa, inoltre l’ago a punta tronca mandrinato con stiletto centrale piramidale atto alla penetrazione e con cannula stremata nella porzione distale angolata a 90°, a bordi smussati non taglienti. Il drenaggio percutaneo deve essere sempre preceduto da una puntura esplorativa la quale deveconsentire di ottenere la valutazione sulle caratteristiche del materiale contenuto nella cavità e, quindi, porre la corretta diagnosi (ascesso, raccolta, sieroma, etc.). Questa fase preliminare è indispensabile al fine di scegliere un catetere adeguato come tipo, calibro (a singolo o doppio lume), etc. Per la puntura esplorativa viene principalmente impiegato l’ago di Chiba da 22 G, ma la nostra opinione – che concorda con molti altri autori – è che sia preferibile utilizzare un ago da 18 G, previa anestesia locale (carbocaina 1-2%), così da poter eseguire sia l’aspirazione dalla cavità (al fine di individuare la natura del materiale), che l’eventuale introduzione del filo guida (comunemente da 0.035-0,038 inch ) per il posizionamento del catetere, resa agevole da un ago da 18 G.
B) I fili guida utilizzati in ecografia interventistica possono essere distinti in base a diverse caratteristiche:
• materiale;
• calibro;
• caratteristiche fisiche.
In rapporto al materiale di cui si compongono, si differenziano in:
– fili metallici di acciaio inossidabile;
– fili metallici teflonati;
– fili di materiale plastico trattato.
Il calibro, misurato in pollici (inch), in genere varia da 0,016 inch (=0,41 mm) a 0,038 inch (=0,97 mm) e la lunghezza, misurata in cm, da 60 a 400 cm.
In rapporto alle caratteristiche fisiche, si distinguono:
– fili rigidi, utili al successivo posizionamento dei cateteri;
– fili flessibili, provvisti di punta retta o a J;
– del tipo Lunderquist, composti da una porzione rigida e da una porzione flessibile, con punta retta o a J. I fili guida si differenziano, inoltre, per:
• rigidità;
• flessibilità;
• maneggevolezza.
La rigidità facilita la successiva introduzione del catetere.
La flessibilità rende meno traumatica e quindi più sicura la manovra terapeutica.
La maneggevolezza permette il corretto posizionamento della punta del filo.
C) Il dilatatore è una sonda impiegata per l’inserimento di cateteri di medio e/o grosso calibro. Si utilizza per la divaricazione della breccia cutanea e dei piani in cui si introducono i fili guida.
In base al meccanismo d’azione e alla modalità d’introduzione si distinguono dilatatori di tre tipi:
• dilatatori a palloncino o pneumatici;
• dilatatori coassiali in teflon o in poliuretano;
• dilatatori angiografici.
Dilatatori a palloncino o pneumatici. Sono utilizzati per l’angioplastica e, se modificati, per divaricare la breccia cutanea, sia per drenaggi biliari che per nefrostomia.
Dilatatori coassiali in teflon o in poliuretano (divaricatori di Amplatz). I primi, robusti, hanno struttura rigida e sono indicati per la dilatazione del parenchima epatico sclerotico o di tessuti fibrotici pericapsulari del rene. Di diverso calibro, compreso fra 8 e 18 F, sono radiopachi e si incastrano fra loro a telescopio (quello di calibro maggiore scorre su quello di calibro minore).
I secondi, semirigidi e radiopachi, hanno un calibro compreso fra 8 e 30 F. Hanno tutti la punta affilata: ciò consente un migliore scorrimento su un secondo dilatatore in teflon. Il vantaggio dei dilatatori in poliuretano è una maggiore capacità di dilatazione.
Dilatatori angiografici. In teflon (4-24 F), piuttosto rigidi e non completamente radiopachi; in poliuretano (8-36 F) semirigidi e radiopachi; metallici (8-26 F). Appartengono tutti al gruppo dei dilatatori da far scorrere singolarmente sul filo guida.
D) Gli introduttori per cateteri sono presidi costituiti da una guaina esterna apribile e da un dilatatore in teflon. Alcuni sono dotati anche di mandrino metallico. Vengono impiegati per il posizionamento percutaneo di cateteri flessibili, a palloncino e di quelli con punta malecot.
E) I cateteri (fig. 78.31) sono dispositivi cilindrici formati da tre porzioni che, procedendo dall’estremità distale, sono rappresentate da:
• punta;
• corpo;
• cono.
La punta del catetere può essere aperta o chiusa e presentare diverse forme che lo caratterizzano. In base alla forma la punta può essere retta, a palloncino, a J, a ricciolo (pigtail), tipo Ring, tipo malecot.
Il corpo è quella porzione del catetere interposta tra punta e cono, formandone la parte più lunga. Il cono è la porzione terminale che permette il raccordo con siringhe o il fissaggio di aghi e mandrini. È di forma conica (come indica il termine) ed in tal caso si raccorda per pressione, o di tipo luer lock, quando presenta una porzione filettata adatta per l’avvitatura.
I cateteri utilizzati per il drenaggio di raccolte liquide possono essere di diversi tipi, differenziandosi in particolare per:
1) i materiali di cui sono composti (fig. 78.28a);
2) area di drenaggio (numero e posizione dei fori disposti lungo il loro decorso);
3) il calibro;
4) la lunghezza;
5) il lume;
6) l’impiego clinico.
1) I materiali di cui sono composti i cateteri comprendono una notevole varietà:
– polietilene;
– silicone
– poliuretano;
– teflon;
– lattice.
Ognuno di questi materiali conferisce al catetere caratteristiche peculiari di spessore, rigidità, flessibilità, biocompatibilità, maneggevolezza e resistenza alle incrostazioni.
Delle varie caratteristiche, la rigidità è quella che determina la capacità di penetrazione attraverso i tessuti. Il polietilene presenta una caratteristica rigidità che conferisce al catetere (anche se di spessore minimo) la proprietà di una facile introduzione in cavità. Tale materiale, inoltre, permette una buona portata di drenaggio anche per cateteri di piccolo calibro. La tendenza ad angolarsi (kinking) lo rende idoneo per un drenaggio di breve durata.
Il silicone, invece, è un materiale morbido, con un elevato coefficiente di attrito che rende necessario, per il suo impiego, l’uso di introduttori.
Rispetto al polietilene è più resistente alle incrostazioni (specie a quelle causate dal drenaggio di urine) e possiede un maggior indice di biocompatibilità. La maggiore flessibilità e la minore tendenza al kinking lo rendono idoneo per drenaggi di lunga durata.
Il poliuretano ha, in parte, caratteristiche simili a quelle del polietilene e, in parte, a quelle del silicone.
Il teflon è il più rigido tra i materiali utilizzati per i cateteri. Presenta una forte tendenza al kinking e non è indicato per il drenaggio percutaneo.
Il lattice, infine, per la scarsa penetrabilità, per una maggiore predisposizione ad angolarsi ed ad incrostarsi rispetto ai materiali precedenti, non è impiegato frequentemente.
2) Per quanto riguarda l’area di drenaggio, essa può essere a foro singolo o a fori multipli.
3) Il calibro, la cui unità di misura è rappresentata dal French (3F = 1 mm), può essere piccolo (5-8 F), medio (9-11 F) o grande (12-14 F). I cateteri di piccolo e medio calibro sono utilizzati di solito nel drenaggio di raccolte liquide di volume inferiore a 100 cc, costituite da materiale fluido. Il catetere di grosso calibro è impiegato per drenare raccolte di volume superiore a 100 cc, di consistenza densa, e contenenti frustoli necrotici o tissutali.
Cateteri di calibro superiore a 14 F (15-24 F) non sono utilizzati, sia perché molto traumatizzanti all’atto dell’inserzione, sia perché responsabili di un maggior numero di complicazioni.
4) La lunghezza dei cateteri è variabile e viene scelta a seconda delle esigenze del singolo caso clinico e dell’esperienza dell’operatore.
5) Per quanto concerne il lume, il catetere di grosso calibro può essere provvisto di un lume singolo o doppio.
Il secondo lume favorisce la circolazione di aria ambiente evitando che i fori laterali del catetere aderiscano alle pareti della cavità. Contemporaneamente al drenaggio della raccolta, permette, poi, anche il lavaggio della cavità residua.
6) Nell’impiego clinico, il catetere può essere utilizzato per drenaggi esterni, quando una delle due estremità fuoriesce dalla superficie cutanea (catetere esterno), o per drenaggi interni, quando entrambe le estremità non fuoriescono dalla parete cutanea (catetere interno).
I cateteri esterni, a loro volta, possono essere distinti in cateteri liberi, privi di un sistema di ancoraggio (cateteri a punta retta, a J, a ricciolo (pigtail), tipo Ring, tipo malecot), e cateteri ad ancoraggio (catetere a palloncino, catetere con tiranti).
I cateteri interni (stent) vengono posizionati a livello delle vie biliari e delle vie urinarie per favorirne il drenaggio e per impedirne l’ostruzione.
F) I drenaggi aspirativi sono formati da una pompa a soffietto, in genere costituita di materiale plastico, che crea una depressione aspirativa per favorire la fuoriuscita di materiale biologico (raccolte ascessuali, sierose, etc.) da cavità in cui è stato inserito un tubo di drenaggio o meglio un catetere solitamente a punta multiforata. Essi sono muniti di valvola antireflusso e vengono usati quando vi è necessità di effettuare un drenaggio continuo e costante di cavità neoformate in seguito a processi flogistici acuti o di drenare raccolte allocate in punti dell’addome difficilmente trattabili con i normali tipi di drenaggio.
G)I sistemi di fissaggio sono rappresentati da dischetti in silicone puro autoadesivi, tipo Hollister e Molnar, che bloccano il catetere a livello del foro d’ingresso cutaneo. Hanno il compito di fissare il catetere che fuoriesce dalla breccia cutanea, per evitare torsioni, angolazioni, dislocamenti. Altro sistema di fissaggio, semplice ed efficace, è la sutura del catetere alla cute circostante con punti in seta.
Tecniche di esecuzione
Il posizionamento percutaneo dei cateteri può essere effettuato con:
– la tecnica diretta;
– la tecnica di Seldinger (classica o modificata);
– la tecnica di posizionamento per mezzo di introduttori per cateteri.
La tecnica diretta si pratica introducendo per via percutanea un catetere armato con una cannula metallica, provvista di mandrino a punta trocar. È conosciuta anche come tecnica “one shot” o “one step” o “trocar”. Disinfettata la cute, si pratica l’anestesia locale per infiltrazione (con carbocaina 1-2%) o per applicazione topica di emulsione cremosa.
Si incide la cute con un bisturi per poi introdurre un catetere armato di cannula metallica, provvista di un mandrino a punta trocar, che senza l’impiego di fili guida o di dilatatori va sospinto fino alla cavità da drenare. Si controlla la corretta posizione del catetere estraendone il mandrino e aspirando. Se il catetere si trova in cavità, fuoriuscirà una piccola quantità del materiale da drenare. Si procede, quindi, all’estrazione della cannula metallica e contemporaneamente, con una manovra delicata, per evitare la perforazione della cavità, si completa l’approfondamento del catetere. Conclusa la manovra, il catetere viene fissato alla cute. La tecnica diretta (o trocar) viene impiegata per drenare medie e grosse raccolte localizzate a ridosso della parete addominale, o comunque superficiali.
La tecnica di Seldinger viene impiegata per il posizionamento di cateteri percutanei con l’ausilio di fili guida e di dilatatori. Distinguiamo una tecnica classica da una modificata.
La tecnica di Seldinger classica si pratica introducendo sotto guida ecografica, attraverso una breccia cutanea prodotta da un bisturi, previa disinfezione ed anestesia locale, un ago mandrinato. Di solito l’ago utilizzato è di calibro medio (18G). Raggiunta la raccolta, si deve sempre verificare il corretto posizionamento dell’ago, aspirando un po’ di materiale; si ritira, poi, il mandrino e si introduce un filo guida.
Nel caso di cavità ascessuali il filo guida viene fatto avanzare per un lungo tratto per farlo raggomitolare. In questa fase si rischia la perforazione della cavità e per questo motivo, per facilitare la flessibilità del filo guida, si retrae di qualche mm l’ago mentre si fa avanzare la guida.
Ultimata l’introduzione del filo guida, si estrae l’ago e si fanno scorrere, lungo il filo, dei dilatatori di calibro crescente che provocano una divaricazione dei tessuti creando lo spazio per il posizionamento del catetere.
In genere, il catetere, che si lascia a dimora per il drenaggio, possiede un calibro inferiore di 1F rispetto all’ultimo dilatatore inserito.
Ottenuta la divaricazione dei tessuti, si fa scorrere il catetere sul filo guida, per posizionarlo nella cavità ascessuale.
Lo si fissa, poi, alla cute con uno dei sistemi di fissaggio.
La tecnica di Seldinger modificata impiega una cannula metallica, sulla quale viene montato un catetere, da introdurre per via percutanea senza l’ausilio dei dilatatori.
Le manovre, fino all’inserimento del filo guida, non sono diverse da quelle impiegate per la tecnica di Seldinger classica. Una volta posizionato il filo guida, si fa scorrere su di esso il catetere armato sulla cannula metallica, fino ad introdurlo nella cavità da drenare. Tenendo il catetere fermo, si estrae la cannula e successivamente il filo guida e si fissa il catetere alla cute.
Il vantaggio di questa tecnica consiste nell’assicurare l’integrità del catetere grazie all’utilizzo della cannula metallica che ne impedisce il danneggiamento durante l’introduzione e l’attraversamento dei tessuti.
La Tecnica di posizionamento per mezzo di introduttori per cateteri. Per il posizionamento di cateteri morbidi o a palloncino ci si avvale dell’uso di introduttori, presidi costituiti da una guaina apribile in polietilene armata su un dilatatore.
Le tecniche impiegate per posizionare l’introduttore possono essere:
– quella diretta;
– quella di Seldinger.
La tecnica diretta (o one shot) consiste nel posizionamento, sotto guida ecografica, di un introduttore mandrinato, inserito nell’incisione cutanea prodotta con un bisturi a punta triangolare. Quando la guaina esterna raggiunge la cavità, vengono ritirati il dilatatore e il mandrino. Attraverso la guaina viene fatto scorrere il catetere. Posizionatolo, si rimuove la guaina e si fissa il catetere alla cute.
La tecnica di Seldinger impiega aghi mandrinati 18G per drenare cavità contenenti raccolte liquide. Posizionato l’ago nella cavità, si estrae il mandrino e si inserisce il filo guida. Successivamente si estrae l’ago per inserire dilatatori di calibro crescente per divaricare la breccia prodotta dall’ago. Sul filo guida si fa scorrere l’introduttore e, bloccato il dilatatore, si fa scivolare la guaina dell’introduttore fino alla cavità. Controllata la giusta posizione della guaina, si ritirano la guida e il dilatatore per inserire il catetere. Si apre la guaina e si fissa il catetere al piano cutaneo.

Gestione del catetere
Una volta fissato il catetere, lo si collega ad un rubinetto di arresto a tre vie che va raccordato, a sua volta, ad una “busta” di drenaggio. Nel caso di una grossa raccolta ascessuale, si può impiegare un catetere raccordato ad un drenaggio aspirativo per facilitare l’evacuazione della cavità. È opportuno praticare lavaggi del catetere mediante soluzione fisiologica e/o antibiotica una o più volte al giorno per evitare incrostazioni o ostruzione del lume. Tale manovra va eseguita impiegando quantità di liquido non eccessive con iniezioni a bassa pressione. Essa deve essere effettuata con cautela per evitare, a seguito del lavaggio, di mettere sotto tensione le pareti cavitarie con possibile filtrazione o rottura e conseguente spandimento. Periodicamente, sia il raccordo che il catetere vanno sostituiti per prevenire o alleviare possibili stati infiammatori, per rimediare ad ostruzioni e/o a dislocazioni del catetere stesso, per il deterioramento del materiale di cui sono composti. La sostituzione del catetere è una manovra semplice anche se si raccomanda di eseguirla rispettando le norme di asepsi per possibili sovrinfezioni: si introduce un filo guida nel catetere da sostituire e si procede alla sua estrazione avendo cura che il filo guida resti correttamente inserito nella cavità per far scorrere il nuovo catetere al di sopra di esso. Principali siti anatomici e strutture ghiandolari su cui e’ possibile eseguire la Core Biopsy, la FNAB o entrambe le metodiche.

La agobiopsia (Core Biopsy e/o FNAB) è una tecnica diagnostica miniinvasiva che può essere praticata su quasi tutti gli organi, strutture ghiandolari e sulla maggior parte dei siti anatomici.
Di seguito si illustreranno le applicazione rispettive delle tecniche bioptiche cito-istologiche nei vari organi e distretti anatomici.

La biopsia, nello studio di lesioni dell’apparato gastrointestinale, viene praticata quando:
– le condizioni generali del paziente sono scadenti, tanto da non permettere l’esecuzione di altre indagini invasive (endoscopia, laparoscopia);
– si rileva alla radiografia e/o all’endoscopia una massa dubbia di cui si voglia definire la natura;
– non è possibile prelevare (solo in rari casi), in corso di biopsia laparoscopica o endoscopica, un campione idoneo allo studio istologico.

Le controindicazioni alla FNAB e alla Core Biopsy sono rappresentate da:
– diatesi emorragica; puntura ed attraversamento di aneurisma;
– puntura ed attraversamento di angiosarcoma;
– puntura ed attraversamento di tessuto pancreatico sano (induzione di pancreatite).

Non esistono ulteriori controindicazioni e non sono state mai descritte complicanze importanti. È preferibile, però, evitare di attraversare lo spessore delle pareti delle anse da bioptizzare e di praticare più di un prelievo.
Le tecniche di prelievo, a mano libera o con dispositivo di guida, non sono dissimili da quelle impiegate per gli altri organi-bersaglio già illustrate in altri paragrafi.
Anche in questo caso, si rende necessaria la sottoscrizione da parte del paziente di un consenso informato.
Le sonde utilizzate per questo tipo di procedure sono da 3,75MHz ,preferibilmente montate su un apparecchio ultrasonografico munito di seconda armonica per una più corretta e definita visualizzazione dei distretti anatomici interessati.
In caso di un prelievo citologico, le modalità di raggiungimento della lesione bersaglio sono pressoché sovrapponibili a quelle del prelievo istologico, mentre la tecnica di esecuzione è strettamente legata al tipo di ago utilizzato.
Per la (Core biopsy) è consigliato l’uso di un ago (tipo Menghini-modificato) di lunghezza adeguata alla profondità della lesone bersaglio con calibro compreso tra 23 ed i 25 G (prelievo microistologico), il quale consente, una volta giunti in prossimità della lesione, di fissare in aspirazione lo stantuffo della siringa e di eseguire un solo passaggio all’interno della lesione; con esso si otterrà un microfrustolo, il cui spessore sarà determinato dalla misura (espressa in G) dell’ago usato, di dimensioni sufficienti a raggiungere una precisa diagnosi istologica. Per (FNAB) è consigliato l’uso di un ago (tipo Chiba o Chiba modificato) da 23-25 G che consente, raggiunto il centro della lesione, con movimento di “va e vieni”, di aspirare per “capillarità” o con siringa, materiale cellulare in quantità idonea per una soddisfacente diagnosi citologica.

Questo esame viene praticato in regime di ricovero ospedaliero in quanto lo si esegue nei casi in cui vi sono condizioni generali scadenti del paziente o vi è stato già fallimento di procedure diagnostiche attuate in precedenza(prelievi bioptici in laparoscopia o endoscopia ) nonché per l’elevata probabilità di perforazione di porzioni dell’intestino ( tratto colico)ad alto contenuto batterico con conseguente rischio di peritonite.

In particolari casi( sogetti cardiopatici anziani e particolarmente defedati ) è opportuno praticare una blanda sedazione del paziente ed una assistenza anestesiologica rianimativa.
L’accuratezza diagnostica della Core Biopsy a livello dell’apparato gastrointestinale si aggira tra l’85% e il 95%, mentre per la FNAB tra l’80% e il 90%. I falsi negativi, compresi tra lo 0% e il 20%, sono legati ad un’inadeguata aspirazione di materiale.

Il fegato, situato nell’ipocondrio di destra, lo occupa quasi interamente; si spinge fino alla regione epigastrica e, in alcuni rari casi, sino all’ipocondrio sinistro. Questo in ragione delle sue ampie variazioni di morfologia in rapporto ai diversi tipi costituzionali. E’ separato dalla cavità toracica dal diaframma ed è circondato dalle ultime 7-8 costole di destra. Posteriormente, entra in rapporto con le ultime vertebre toraciche.
L’organo è stato suddiviso in lobi e esegmenti: 2 lobi principali, destro e sinistro, e 8 segmenti definiti in base alla vascolarizzazione intraepatica.
La biopsia US-guidata con ago sottile (FNAB) è considerata oggi da molti il gold standard per la tipizzazione di lesioni focali epatiche e la discriminazione tra patologie primitive e secondarie. La sensibilità di questa tecnica è molto alta, variando tra l’85% e il 95%, con una percentuale di falsi positivi prossima a zero.
Nelle lesioni epatiche in cui si rende necessaria la ricerca di fattori prognostici è indicata anche la Core Biopsy.
L’introduzione della biopsia percutanea ecoguidata nella diagnosi di lesioni epatiche a focolaio ha ottimizzato l’accuratezza delle diagnosi, non completamente attendibili quando formulate in base ai dati rilevati da altre metodiche di imaging (US, TC, RM) caratterizzate da elevata sensibilità, ma scarsa specificità. Essa ha così accorciato i tempi dell’ iter diagnostico, riducendo i costi biologici ed economici.
L’approccio alla lesione è diverso a seconda dell’area epatica interessata.
Per le lesioni del lobo destro (sede sottodiaframmatica), ad esempio, l’approccio è indiscutibilmente intercostale, avendo cura di evitare il seno costo-frenico omolaterale; per le lesioni superficiali e che interessano i segmenti inferiori dello stesso lobo destro, invece, l’approccio è preferibilmente sottocostale. In quest’ultimo caso, bisogna porre attenzione ad evitare la colecisti, il legamento rotondo e il tronco portale.
La FNAB epatica, tranne in casi particolari (pazienti con diabete scompensato, cardiopatici, con problematiche di coagulazione, defedati, settici, etc.) non richiede ricovero ospedaliero, ma viene praticata, in regime di day-hospital.
Si informa il paziente, in modo dettagliato, sulla modalità di esecuzione della procedura, sui vantaggi e sui limiti e sulle eventuali complicanze della procedura e lo si invita a collaborare attivamente, per ridurre i rischi ed ottenere risultati ottimali. Inoltre, dovrà sottoscrivere un consenso informato.
Non è sempre necessario praticare infiltrazione di anestetico locale. E’ preferibile che il paziente sia digiuno, per evitare le conseguenze che potrebbero prodursi in seguito all’eventuale insorgere di fenomeni vagali
Egli viene invitato ad assumere la posizione di decubito laterale sinistro.
Disinfettata la cute con alcool iodato o soluzione di sali di ammonio quaternario, prima di posizionare la sonda (accuratamente protetta in bag sterile per garantire al paziente l’asepsi ) sull’area da insonare (spazi intercostali o subcostali a seconda del bersaglio da raggiungere), si utilizza gel sterile come accoppiatore.
Usualmente la tecnica adottata non è quella a mano libera, in quanto le lesioni da bioptizzare il più delle volte sono di piccole dimensioni e, pertanto, vi è la necessità di un’estrema accuratezza e precisione.
Generalmente, viene adoperata una sonda convex o micro-convex da 3,75 MHz con apparecchiature ecografiche dotate di seconda armonica per una visualizzazione ad alta risoluzione del parenchima epatico e delle sue eventuali lesioni.
Il trasduttore viene posizionato in modo tale che la linea di guida elettronica rappresentata sul monitor (marker) attraversi il centro della lesione da bioptizzare. La puntura, sotto guida ecografica, avviene con l’ausilio di un dispositivo di guida per l’ago, applicato lateralmente alla sonda. Tale dispositivo presenta inclinazione e calibro variabile per accogliere aghi di diverso calibro e consentirne la modifica dell’inclinazione di penetrazione in rapporto alla sede del bersaglio, già precedentemente allineato con il marker elettronico del monitor.
È comune l’uso di un ago tipo Chiba o Chiba modificato da 23-25 G che consente, una volta raggiunto il centro della lesione, con movimento di “va e vieni”, di prelevare “per capillarità” o con siringa posta in aspirazione, materiale cellulare in quantità idonea per una soddisfacente diagnosi citologica.
Nel caso di un prelievo microistologico (Core Biopsy), le modalità di raggiungimento della lesione bersaglio sono pressoché sovrapponibili a quelle del prelievo citologico, mentre la tecnica di esecuzione è strettamente legata al tipo di ago utilizzato. Così, ad esempio, l’uso di un ago Menghini-modificato (prelievo microistologico) consente, una volta giunto in prossimità della lesione, di fissare in aspirazione lo stantuffo della siringa, il quale collegato al mandrino, ne farà arretrare la punta sporgente e libererà la parte distale tranciante della camicia dell’ago che fungerà da lama, consentendo di ottenere il microfrustolo e contemporaneamente aspirarlo nel suo lume.
È necessario impiegare aghi di piccolo e medio calibro (del tipo Menghini) per prelevare un campione idoneo alla formulazione di una diagnosi istologica. Questo frustolo deve essere di almeno 2 cm di lunghezza e contenere 4 spazi portali.
La biopsia aspirativa con ago di piccolo calibro (FNAB) o con aghi di piccolo calibro modificati, che ci consentono di ottenere prelievi citologici, è indicata per sospette lesioni di tipo flogistico (ascessi) e/o malformativo (cisti), per raccolte ematiche (ematomi) e per lesioni solide ( carcinoma epatocellulare, metastasi), per epatopatie diffuse di tipo neoplastico (infiltrazione leucemica , linfomatosa, da istiocitosi X) ed epatopatie “a focolaio”(es. steatosi focale). La biopsia con ago tranciante (Core Biopsy) è giustificata nelle lesioni solide non angiomatose (HCC, metastasi),nelle epatopatie diffuse non neoplastiche (malattie da accumulo come glicogenosi,malattia di Wilson, sfingolipidosi) , nelle epatopatie croniche ( cirrosi, HBsAg+,HCV+).Lesioni, l’aspirazione di materiale in esse contenuto e l’esame batteriologico permettono una diagnosi definitiva, indirizzando il sanitario verso il più corretto approccio terapeutico.
La contaminazione della cavità peritoneale, degli spazi sub frenici e di quelli pleurici, ad opera di piogeni, amebe o miceti (i tre principali agenti eziologici di un ascesso epatico), in seguito alla puntura percutanea, è un rischio che può insorgere, soprattutto quando la lesione è localizzata a livello dei segmenti sottodiaframmatici del lobo destro.
In ogni caso, è opportuno utilizzare aghi di piccolo calibro e far praticare al paziente, preventivamente alla biopsia, un’adeguata terapia antibiotica, Le lesioni cistiche del fegato possono essere campionate e diagnosticate sia nelle forme parassitarie che in quelle non parassitarie.
Il principale problema che ci si pone prima della puntura di una cisti epatica è la possibilità che essa sia di tipo idatideo. È necessario, quindi, ricorrere preventivamente ad una sierodiagnosi per echinococcosi, così da evitare, in caso di positività, disseminazione peritoneale e, più raramente, shock anafilattico.
L’esecuzione di una FNAB per una lesione cistica epatica non è indagine di routine, ma è da considerarsi una via rapida, di basso costo e sicura nella definizione di una diagnosi, in pazienti accuratamente selezionati.
Gli ematomi sono abitualmente espressione di violenti traumi addominali ed in particolare della loggia epatica. In base all’anamnesi del paziente ed alle loro caratteristiche ecostrutturali, essi sono di facile riconoscimento. Pertanto, solo in rarissimi casi si arriva alla diagnosi miniinvasiva (FNAB) per dirimere eventuale dubbio diagnostico precedentemente non chiarito con tutte le altre tecniche di imaging.
Il carcinoma epatocellulare (HCC) è la più frequente neoplasia maligna primitiva del fegato. La diagnosi citologica di HCC non presenta particolari difficoltà (Fig.90); tuttavia può essere utile il ricorso alle metodiche ancillari (studio della DNA-ploidia, valutazione citomorfometrica) e l’esecuzione di un doppio prelievo, citologico e microistologico, nello studio delle lesioni ben differenziate.
Uno studio multicentrico, condotto da Torzilli, Minagawa ed altri, su 2091 biopsie ha dimostrato una sensibilità del 97,5%, statisticamente superiore a quella dei due singoli prelievi.
Lesioni focali epatiche di diametro inferiore o uguale ad 1 cm sono, nel 60% dei casi, benigne; per quelle di diametro compreso tra 2 e 3 cm, la percentuale è del 21%.
La diagnosi di HCC si può ottenere anche con gli ultrasuoni, la TC, l’angiografia e la ricerca dei markers tumorali. Ciò suggerisce che è opportuno eseguire una biopsia US-guidata su lesioni la cui diagnosi è ancora incerta, dopo l’esecuzione di altre indagini strumentali e di laboratorio.
La diagnostica delle metastasi si avvale della FNAB per determinare con relativa semplicità la malignità di una lesione, specificandone l’istotipo e suggerendone la sede d’origine , anche con l’ausilio delle attuali metodiche immunocitochimiche .
Le epatopatie diffuse di tipo neoplastico interessano abitualmente il parenchima epatico nella sua totalità. La necessità di ricorrere alla biopsia per ago sottile si determina in quanto i quadri ecografici sono tra i più variegati e di non univoca interpretazione all’imaging.
Tra le epatopatie “a focolaio”, la più frequente è la statosi focale che si presenta ecograficamente con diffuse aree di disomogeneità caratterizzate da un rinforzo delle strutture del tessuto epatico. Tale quadro ecografico alcune volte può addirittura essere sovrapponibile a patologia eteroplasica multifocale e, pertanto, emerge la necessità di dirimere l’eventuale dubbio diagnostico con esame bioptico.
Diversamente, come gia detto la tipizzazione di epatopatie diffuse non neoplastiche e di epatopatie croniche si avvale della Core Biopsy.
Tra i tumori benigni del fegato, il più frequente, con una percentuale d’incidenza che va dallo 0,5% al 7,5% dei casi, è l’emangioma.
Controversa è la posizione dei sanitari circa la possibilità di effettuare una Core Biopsy a livello di lesioni di questo tipo. Sicuramente una biopsia US-guidata con aghi trancianti di grosso calibro è improponibile, mentre diverse posizioni vengono assunte circa l’uso di aghi di piccolo calibro. Alcuni autori (Heilo, Stenwig), infatti, ritengono l’emangioma una controindicazione assoluta alla biopsia per un elevato rischio emorragico. Altri – e tra questi Cronan che addirittura descrive l’esecuzione dell’indagine con aghi trancianti sottili senza significative complicanze – considerano la Core Biopsy l’unico esame diagnostico attendibile.
Il nostro orientamento è che la diagnosi oggi possa essere quasi sempre raggiunta con i reperti ottenibili dall’imaging. Tuttavia, nel caso in cui l’imaging non risulti dirimente, e si debba arrivare alla diagnosi con la biopsia ecoguidata, è preferibile sempre l’utilizzo di aghi di piccolo calibro non trancianti (FNAB), onde ridurre al minimo il rischio di eventuali complicanze.
In conclusione, si ritiene che la puntura degli angiomi vada evitata, sia con aghi di grosso calibro che con quelli sottili, utilizzando, per una valutazione diagnostica, altre metodiche di imaging, quali US con MDC, TC, RM, angiografia, scintigrafia e/o laparoscopia. Tuttavia, è noto che un emangioma epatico venga sottoposto a FNAB nel caso in cui questo simuli per gli aspetti di imaging una lesione neoplastica. In questi casi, l’agoaspirato è in grado, il più delle volte, di evidenziare la presenza di frustoli di stroma vascolarizzato che possono essere segno indiretto della natura della lesione.

La ghiandola mammaria è una ghiandola tubulare ramificata, costituita da circa 16-20 lobi, separati da setti di tessuto fibro-adiposo. Ciascun lobo è ulteriormente suddiviso in lobuli di varia grandezza i cui dotti terminano a fondo cieco. Da tali terminazioni si delineeranno gli acini, o alveoli, che rappresentano la parte secernente dell’organo. I dotti escretori intralobulari, interlobulari e lobari convergono verso i dotti galattofori.
La ghiandola entra a far parte dell’apparato riproduttivo, pertanto è soggetta a mutamenti: taluni reversibili, durante lo stato gestazionale, l’allattamento ed il periodo mestruale; altri irreversibili, dovuti all’evoluzione dell’età dell’individuo (pubertà, età fertile, climaterio).
La struttura ghiandolare della mammella della donna in età fertile è caratterizzata da tre fondamentali componenti:
– tessuto adiposo;
– tessuto fibroso di sostegno;
– tessuto ghiandolare.

Nell’età menopausale, sopraggiungono i fenomeni di involuzione adiposa, rendendo la ghiandola mammaria a scarsa componente ghiandolare ed incrementando notevolmente la quota adiposa.
Le indagini strumentali che trovano maggiormente impiego nello studio della mammella sono la mammografia e l’ecografia.
La prima è ampiamente utilizzata nella valutazione di ghiandole in donne di età superiore ai 45 anni; la seconda è maggiormente impiegata per lo studio di ghiandole giovanili, ovvero nello studio di ghiandole mammarie di donne in età post-menopausale in trattamento con terapia sostitutiva e rappresenta una valida integrazione all’indagine mammografica.
Entrambe, però, non sono in grado – in rapporto all’età della paziente, alla struttura ghiandolare e all’eventuale presenza di fattori di rischio – di pervenire, in presenza di alterazioni strutturali e/o microcalcificazioni, ad una diagnosi certa di neoplasia.
Obiettivo della biopsia percutanea ecoguidata è quello di risolvere gli eventuali dubbi diagnostici: da circa 25 anni l’introduzione della FNAB (ago di piccolo calibro non tranciante) ha permesso di ridurre considerevolmente il numero delle biopsie escissionali a scopo diagnostico, ponendo in un gran numero di casi una distinzione definitiva tra lesioni di natura benigna e maligna.
Nella patologia mammaria il percorso diagnostico si articola secondo la ben nota triade: semeiologia clinica, diagnostica strumentale, citologia e /o core biopsy. In caso di concordanza tra le tre componenti, la diagnosi viene effettuata con una elevata attendibilità. La non concordanza tra i parametri clinici, di diagnostica strumentale e cito/istopatologici, costituisce una indicazione alla rivalutazione e/o all’approfondimento diagnostico. Nei casi dubbi ,la tipizzazione certa della lesione eteroplasica può richiedere l’esame istopatologico intraoperatorio o su sezioni permanenti del reperto chirurgico.
Indicazioni alla biopsia percutanea ecoguidata sono:
– formazioni cistiche dolenti, dal contenuto denso, con irregolarità di struttura, con vegetazioni endoluminali;
– lesioni solide (fibrosi densa con scleroelastosi, fibroadenoma sclerosante, adenosi sclerosante, epiteliosi infiltrativa);
– asimmetria della ghiandola;
– galattocele cronico;
– noduli spiccatamente ipoecogeni.
Tutti i quadri sopraindicati sono meritevoli di approfondimento diagnostico con esame citologico.
L’esame ultrasonografico delle cisti a contenuto denso offre notevoli difficoltà diagnostiche, per l’ampia varietà strutturale. La presenza di vegetazioni endoluminali, infatti, può essere espressione tanto di formazioni papillomatose quanto di carcinomi intracistici. Inoltre, il contenuto cistico, che può essere di origine ematica o costituito da cellule di sfaldamento o essere francamente purulento, è espressione rispettivamente di ematomi, di papillomi intraduttali, di formazioni neoplastiche o di ascessi. La distinzione tra i diversi tipi di lesioni solide si presenta spesso difficile da attuare col semplice esame mammografico o ecografico, per una somiglianza strutturale delle stesse.
Asimmetrie della ghiandola possono essere dovute alla formazione di piastroni ghiandolari -mastopatia fibrocistica- , risultato di un’abnorme risposta ormonale oppure alla distorsione-retrazione causata da neoplasie maligne o da esiti di radioterapia. Lo studio in eco-color-Doppler, consente, attraverso la valutazione della vascolarizzazione, di dirigere al meglio l’ago nel focolaio da campionare.
Tra tutte le patologie benigne della mammella, il galattocele cronico e la steatonecrosi sono quelle che offrono maggiori difficoltà diagnostiche, in quanto la loro ecostruttura è caratterizzata da una notevole attenuazione del segnale simile a quella che si ritrova nelle neoplasie ad elevato contenuto fibroso.
L’esame ecografico presenta dei limiti nella diagnostica dei noduli spiccatamente ipoecogeni.
L’ipoecogenicità è una caratteristica comune ad alcune formazioni nodulari benigne e a gran parte delle formazioni nodulari maligne, entrambe caratterizzate da un elevato assorbimento del segnale per la presenza di oltre il 70% di contenuto fibroso.
Tra le prime, distinguiamo una discreta quota di fibroadenomi , l’adenosi sclerosante ed i tumori fillodi; tra le seconde, alcuni carcinomi mucinosi, numerosi carcinomi lobulari ed i carcinomi duttali invasivi, cosiddetti scirrosi.
Per questo comune aspetto ecostrutturale, in presenza di formazioni nodulari ipoecogene, si determina inevitabilmente un dubbio diagnostico.
L’accuratezza diagnostica della citologia per ago sottile è molto alta, compresa tra il 93% e il 98%.
Studi retrospettivi su ampie casistiche hanno dimostrato che, in patologia mammaria, l’accuratezza diagnostica è strettamente connessa al grado di continuità che si stabilisce nelle varie fasi della procedura diagnostica (esame clinico, aspirazione, striscio e diagnosi microscopica). Quando la persona che esegue l’esame clinico, l’aspirazione, lo striscio e la lettura del campione citologico, vi è un incremento medio dell’accuratezza diagnostica del 10% circa .
Non vi sono controindicazioni, né complicanze in seguito all’esecuzione della biopsia percutanea mammaria ecoguidata. Ciò rende questa tecnica un momento importante nella diagnostica senologica.
Il prelievo citologico ecoguidato può essere eseguito a mano libera o con l’ausilio di dispositivi di guida, a seconda dell’esigenza diagnostica e dell’esperienza dell’operatore. In entrambi i casi, si utilizzerà una sonda lineare multifrequenza 8-10 MHz in ragione della adiposità e del volume della ghiandola mammaria.
La tecnica a mano libera, impiegata in genere da operatori esperti, viene eseguita facendo distendere la paziente in posizione supina e leggermente girata sul fianco controlaterale alla mammella da bioptizzare, invitandola a sollevare il braccio omolaterale sopra alla testa. Va posizionato un cuscino sotto la spalla del lato da esaminare per rendere più agevole l’indagine. In questo modo la mammella è schiacciata contro la parete toracica, assumendo una posizione simmetrica e riproducibile
Prima di effettuare il prelievo, si disinfetta la cute e si applica del gel sterile. Successivamente, si posiziona la sonda in modo da insonare correttamente il centro della lesione. La sonda sarà preventivamente ricoperta di gel ed avvolta in una pellicola di plastica sterile (Biopsy-bag) per prevenire processi infettivi.
Gli aghi impiegati hanno un calibro che va dai 23 ai 25 G ed una lunghezza che varia in rapporto alla profondità delle lesioni. L’angolo ottimale di penetrazione dell’ago è di 45° circa. Tale angolazione aumenta nel caso di lesioni profonde (avendo cura di evitare l’attraversamento della parete toracica per scongiurare il rischio di pneumotorace) e diminuisce per lesioni superficiali.
Per determinare il corretto tragitto che dovrà compiere l’ago, con l’involucro sterile dello stesso si eserciterà una lieve pressione sulla cute del paziente al margine della sonda. Questa manovra indicherà sul monitor, con un’ombra acustica, il preciso punto di inserzione e di allineamento dell’ago con il bersaglio.
Verificato che l’ago è penetrato correttamente nella lesione, si collega direttamente, o mediante un tubicino di raccordo, ad una siringa che viene messa in aspirazione, retraendo il pistone. Un’alternativa consiste nell’applicare la siringa ad una pistola per aspirazione. Durante l’aspirazione all’ago vengono impressi movimenti di vai e vieni e di lateralità per assicurare un adeguato campionamento della lesione. Inoltre, il prelievo citologico può essere effettuato “per capillarità”,quindi senza ricorrere all’utilizzo di una siringa posta in aspirazione, in quanto i movimenti di “va e vieni”, nella maggior parte dei casi, determinano la risalita spontanea del materiale cellulare nel lume del’ago, anche in assenza di aspirazione .
Il materiale citologico va strisciato su uno o più vetrini.
Terminato il prelievo, nel caso in cui esso sia stato eseguito con ago connesso ad una siringa posta in aspirazione, si abolisce la depressione, si estrae l’ago e lo si disconnette dalla siringa; il materiale contenuto nel lume dell’ago dovrà essere depositato nel modo seguente: previa aspirazione di qualche cc di aria nella siringa, la si riconnette all’ago la cui punta verrà posta quasi a contatto con il vetrino; delicatamente si sospingerà il pistone in avanti per far sì che l’aria insufflata faccia defluire il materiale prelevato.
Nel caso in cui il prelievo sia stato eseguito “per capillarità”, estratto l’ago, lo si connette ad una siringa previamente caricata con qualche cc di aria e si procede come sopra.
I campionamenti devono essere multipli – in genere tra 2 e 4 – ed il materiale deve essere strisciato su uno o più vetrini che vengono fissati con alcool al 95% o all’aria.
Per lo studio dei recettori ormonali e delle più comuni variabili prognostiche (Her-2, EGFR, Ki 67, p 53) i risultati migliori si ottengono adoperando strisci prontamente e rapidamente fissati dopo l’allestimento in alcool al 95% per almeno 15 minuti. In alternativa, possono essere adoperati preparati su strato sottile, che per le ottimali caratteristiche citomorfologiche e di fissazione del materiale cellulare, ben si prestano a queste determinazioni.
La tecnica con dispositivi di guida si pratica applicando alla sonda, ricoperta di gel ed inserita in una “bag”sterile, un sistema di guida per aghi anch’esso sterile.
Gli aghi utilizzati – per i motivi già precedentemente illustrati – sono più lunghi di quelli impiegati per la tecnica a mano libera. Possono essere di diversi tipi: ago con punta di tipo Chiba (eventualmente anche modificato a doppia affilatura), ago con punta “Lancet” (retrattile), etc.. Presentano calibro variabile da 19 a 22 G (Chiba) e da 20 a 23 G (Lancet). L’uso degli aghi di calibro maggiore richiede eventualmente l’esecuzione di un’anestesia locale per infiltrazione o applicazione di emulsioni anestetiche.
Il prelievo istologico (microistologico) – Core Biopsy – impiegato per la definizione di una diagnosi di lesioni sospette, viene effettuato con aghi del tipo Menghini-modificati, di calibro compreso tra i 15 e i 20 G. Per la maggiore invasività della manovra, anche in questo caso, è richiesta un’anestesia locale per infiltrazione.
La traiettoria dell’ago è riprodotta elettronicamente sullo schermo (marker) e il trasduttore, munito di sistema di guida dell’ago deve essere posizionato in modo tale che il marker elettronico attraversi il centro della lesione. Con questo sistema la biopsia può essere eseguita facilmente da due persone: l’operatore mantiene la sonda e tiene ferma la mammella, mentre l’ago viene inserito da un assistente.
L’uso di aghi trancianti di grosso calibro si riserva per lo studio di lesioni sclerotiche, nelle quali la FNAB non abbia dato risultato adeguato o conclusivo per scarsa cellularità. Inoltre, l’esistenza di microcalcificazioni di tipo grossolano e non puntiforme, la fibrosi metachirurgica, le distorsioni strutturali resistenti alla compressione selettiva e gli esiti di radioterapia possono costituire indicazioni elettive per questa metodica.
La facilità con la quale può essere effettuata la biopsia, usando una guida per l’ago, dipende da quanto chiaramente la punta dell’ago è visualizzata sullo schermo.
La tecnica d’inserimento dell’ago mediante dispositivo è simile a quella gia descritta nei precedenti paragrafi
All’ecografia, le lesioni nodulari benigne vengono identificate come formazioni più frequentemente di forma ovalare, ad ecostruttura omogenea ma solitamente lievemente ipoecogene e con lieve rinforzo acustico di parete. I carcinomi sono individuati come lesioni di forma variegata con ombre acustiche laterali su ambo i lati, non comprimibili alla pressione esercitata dal trasduttore, ad ecostruttura solida disomogenea, notevolmente ipoecogena, con margini talvolta sfumati e profilo irregolare.
L’eco-color Doppler premette inoltre di integrare la rappresentazione ecografica con la valutazione del grado di vascolarizzazione delle lesioni maligne, permettendo anche di discriminare con maggiore certezza le lesioni solide da quelle cistiche a contenuto corpuscolato o denso.
L’ecografia diagnostica riveste un ruolo importante anche come supporto pre-operatorio nelle lesioni neoplastiche inferiori al cm, non palpabili. Il posizionamento pre-operatorio sotto guida ecografica di reperi metallici, favorisce una chirurgia meno aggressiva e demolitiva, ma con risultati altrettanto validi per quel che concerne la prognosi.
Due sono i tipi di repere impiegati: l’ago di Homer – riposizionabile – che, in caso di mancato raggiungimento del bersaglio, offre possibilità essere rimosso e ricollocato e viene inserito sotto guida radiologica stereotassica; l’ago di Kopans – non riposizionabile – che dovrà essere inserito e guidato nella lesione mediante US, quindi con visualizzazione in tempo reale di tutta la manovra.

Nell’ultimo ventennio, l’ecografia ha migliorato in maniera sensibile la diagnostica in ginecologia consentendo di studiare la morfologia, il volume e la struttura di una massa; inoltre, avvalendosi anche della biopsia US-guidata, ha contribuito significativamente alla definizione diagnostica delle neoformazioni della sfera ginecologica attraverso l’esame citologico e micro-istologico delle neoformazioni .
In ginecologia le indicazioni all’esame bioptico sono rappresentate da:
– masse pelviche;
– tumefazioni in pazienti neoplastiche;
– esame del liquido peritoneale.

Il prelievo di materiale citologico con ago di piccolo calibro (FNAB), condotto con l’ausilio degli ultrasuoni, va eseguito su un’area mirata della lesione per consentire la formulazione di una diagnosi precisa.
Prima dell’introduzione della biopsia percutanea ecoguidata, l’esame bioptico di lesioni dell’apparato genitale interno femminile si eseguiva in corso di laparoscopia. Quest’ ultima metodica, a differenza dell’esame ecografico, che consente di studiare anche le porzioni interne del parenchima, permetteva di visualizzare solo la superficie esterna degli organi endopelvici. Si rischiava così di eseguire una biopsia inadeguata al fine diagnostico.
L’approccio alla lesione da bioptizzare dipende dall’esperienza dell’operatore, dalla strumentazione disponibile, dalla localizzazione e dal volume del bersaglio.
In presenza di masse pelviche si può eseguire una puntura percutanea ecoguidata (PPE) transpubica o utilizzare l’accesso transvaginale. Oggi questo è l’approccio più frquentemente impiegato: con l’introduzione delle sonde endocavitarie e l’utilizzo del dispositivo di agoguida, l’esecuzione del prelievo risulta semplice e ben tollerata dalla paziente.
La via transrettale e quella transvescicale sono state quasi del tutto abbandonate, anche se nella nostra esperienza le riteniamo ancora valide per alcune dislocazioni alquanto alte delle gonadi e di alcune masse pelviche.
Per l’approccio sovrapubico, si utilizzeranno sonde convex o microconvex da 3,75 MHz; per l’approccio intracavitario (endovaginale, endorettale), si adopereranno sonde dedicate microconvex per insonazione endorettale o endovaginale.
La scelta degli aghi si orienterà su modelli non trancianti di piccolo calibro (25 G), per limitare l’eventuale disseminazione neoplastica peritoneale.
Il prelievo con sonda endorettale o endovaginale sarà eseguito esclusivamente con dispositivo di guida, mentre il prelievo con approccio sovrapubico, eventualmente anche transvescicale, sarà eseguito con tecnica a mano libera o sonda munita di dispositivo di guida.
Discordanti sono i dati sulla sensibilità e la specificità dell’esame. Secondo alcuni Autori (Belinson, Lynn, Sevin) sia la sensibilità che la specificità sono elevate; secondo altri (Moran, Dordoni), invece, la sensibilità si aggirerebbe tra il 20% ed il 40%, mentre la specificità raggiungerebbe il 100%.
La sensibilità della FNAB ovarica si aggirerebbe intorno al 90%, mentre la specificità raggiungerebbe circa il 95%.
L’esame citologico delle masse ovariche, eseguito con ago di piccolo calibro, ci permette di diagnosticare cisti endometriosiche, cistomi siero-mucinosi, teratomi, nonché patologie eteroplasiche (carcinomi).
Tale esame, quando condotto sul liquido peritoneale, fornisce svariate informazioni cliniche e citologiche utili soprattutto allo staging delle neoplasie del distretto addominale e pelvico.
Un alterato aspetto macroscopico può essere espressione di infiammazione (acuta o cronica). In questo caso, l’esame colturale completa la biopsia.
In caso di aspetto ematico del liquido peritoneale, si può facilmente diagnosticare un emoperitoneo.
Per quanto riguarda la ricerca di cellule neoplastiche del liquido peritoneale, non esistono studi che forniscano dati certi. Per tale motivo, l’esame va praticato in casi selezionati.
Il limite dell’indagine è rappresentato dalla difficoltà di accertare con sicurezza la malignità delle lesioni bioptizzate. Pertanto, la diagnosi di certezza si ottiene soltanto mediante esame istologico.

Le linfoghiandole, discretamente apprezzabili agli US, lo diventano in maniera evidente quando subiscono un incremento volumetrico, ovvero quando, per fenomeni flogistici acuti o malattie neoplastiche, perdono la loro normale struttura ecografica. Nelle patologie infiammatorie, i linfonodi oltre a presentare il già detto incremento volumetrico, appaiono spiccatamente ipoecogeni, ma conservano sempre una sufficiente e riconoscibile immagine dell’ilo. Nelle patologie neoplastiche, invece, non vi è sempre un significativo aumento volumetrico, ma l’elemento dirimente è la perdita o addirittura la scomparsa del rapporto ilo-corticale.
Si prestano bene ad uno studio ultrasonografico, per la loro localizzazione anatomica, le linfoghiandole della regione superiore dell’addome ed i linfonodi superficiali in genere (laterocervicali, ascellari, inguinali, etc.). Più difficile è la visualizzazione delle stazioni linfoghiandolari dell’addome inferiore, soprattutto in pazienti pletorici o in caso di meteorismo.
La FNAB e la Core biopsy US-guidate completano il semplice esame ecografico, specificando la diagnosi di natura di una patologia linfonodale ove il solo reperto di imaging risulti essere insufficiente.
L’impiego di queste tecniche costituisce una tappa fondamentale nello staging dei linfomi, per stabilire un iter terapeutico ottimale, e nel restaging, per valutare la presenza di metastasi e/o la comparsa di recidive.
Nelle iperplasie reattive linfonodali e nella malattia di Hodgkin il quadro citologico è polimorfo. Nella prima condizione si osservano cellule linfoidi in vario grado maturativo, insieme ad istiociti fagocitanti e, talora, ciuffi di vasi capillari.
Nella malattia di Hodgkin le cellule diagnostiche di Reed-Sternberg, le cellule mononucleate di Hodgkin e le cellule a specchio, risaltano su di uno sfondo di cellule mature nel cui contesto è possibile anche osservare cellule epitelioidi e granulociti eosinofili.
Nei linfomi non Hodgkin il quadro citologico tende al monomorfismo, ma, nelle forme di basso grado può essere difficile effettuare la diagnosi differenziale con una florida iperplasia reattiva se non si dispone dell’ausilio di metodiche ancillari, quali la citometria a flusso e/o l’immunocitochimica.
La specificità di questa indagine, per i linfomi, è del 98% circa , con una sensibilità, limitatamente alla sola citomorfologia, di circa il 65-70%.
L’accuratezza diagnostica nella diagnosi delle metastasi è più elevata e si approssima, con l’ausilio delle tecniche speciali, al 100%.
Ulteriore indicazione alla FNAB e/o alla Core biopsy è la comparsa di linfoadenomegalie addominali in pazienti che non presentano una patologia neoplastica accertata. In questo caso, le due tecniche di prelievo possono rappresentare l’unica alternativa alla laparotomia, ovvero alla laparoscopia diagnostica con prelievo bioptico.
Per i linfonodi addominali, la metodica diagnostica di elezione mininvasiva è costituita dalla core Biopsy (prelievo microistologico), ma si ricorre alla FNAB (ago di piccolo calibro non tranciante) ogni qualvolta vi sia rischio emorragico o di attraversamento di strutture riccamente vascolarizzate od in pazienti affetti da coagulopatie.
Per entrambe le tecniche (FNAB/Core Biopsy), le procedure per guidare l’ago nella lesione bersaglio (a mano libera o con dispositivo di guida) sono state descritte nei precedenti paragrafi.
Per la Core Biopsy (prelievo microistologico), riservata ai grossi linfonodi addominali, è consigliato l’uso di un ago tipo Menghini da 20-21 G, il quale, una volta giunti in prossimità del linfonodo, consente di fissare in aspirazione lo stantuffo della siringa e di eseguire una sola penetrazione all’interno della lesione, per ottenere un frustolo per microistologia il cui spessore sarà sempre determinato dalla misura (espressa in G) dell’ago usato. L’ago sarà guidato da una sonda settoriale o convex da 3.75 MHz con tecnica a mano libera o con dispositivo di guida. Onde evitare il rischio di sepsi, le cui conseguenze potrebbero essere particolarmente importanti data l’ubicazione in cavità peritoneale dei linfonodi da bioptizzare, questa procedura mininvasiva richiede particolare attenzione nella disinfezione della cute del paziente. Inoltre. Si avrà cura di delimitare il campo per con telini opportunamente autoclavati e la sonda sarà protetta in bag sterile.Come mezzo di accoppiamento sarà utilizzato gel, anch’esso sterile.
Per la FNAB (prelievo citologico), nei casi in cui vi si debba ricorrere per l’esame dei linfonodi addominali, si utilizza un ago tipo Chiba o Chiba modificato da 22-23 G, il quale consente, raggiunto il centro del linfonodo, con movimento di “va e vieni”, di aspirare per capillarità o collegato ad una siringa con stantuffo in aspirazione, una quantità di materiale idonea al raggiungimento di una diagnosi citologica corretta.
Terminata l’aspirazione, si estrae l’ago e lo si disconnette dalla siringa; il materiale contenuto nel lume dell’ago dovrà essere depositato così come di seguito consigliato: previa aspirazione di qualche cc di aria nella siringa, la si riconnette all’ago la cui punta verrà posta quasi a contatto con il vetrino; delicatamente si sospingerà il pistone in avanti per far sì che l’aria insufflata faccia defluire il materiale prelevato.
Per i linfonodi superficiali in genere, come già accennato, si sceglie la tecnica della FNAB (citoaspirazione) o, laddove la sola citologia non si rivelasse sufficiente ad ottenere diagnosi certa, si ricorre all’escissione chirurgica.
L’ago sarà guidato da un trasduttore lineare small-part ad alta frequenza (7,5-10 MHz) e la tecnica di elezione per le strutture superficiali è quella di inserzione dell’ago a mano libera. Per la raccolta e la deposizione su vetrino del materiale cellulare da analizzare si segue il procedimento utilizzato per il prelievo citologico sui linfonodi addominali.
Il materiale applicato per la disinfezione della cute sarà adoperato anche come mezzo di accoppiamento.
Per l’impiego di queste metodiche diagnostiche mininvasive sui linfonodi, non è richiesto ricovero ospedaliero del paziente: l’esame viene eseguito in regime di day-hospital o ambulatoriale, senza anestesia. Nonostante l’incidenza dei rischi sia molto bassa, è comunque buona norma informare adeguatamente il paziente e richiedere la sottoscrizione del consenso. Il decubito differirà in rapporto alle stazioni linfonodali da bioptizzare ed è richiesta una semplice collaborazione da parte del paziente.

La milza è situata nell’ipocondrio di sinistra. Presenta una faccia convessa rivolta posteriormente a sinistra, ricoperta dal diaframma (faccia diaframmatica), che prende rapporto indiretto con il seno costo-frenico omolaterale e con una porzione della parete gastrica. Il versante viscerale della milza si suddivide ancora in una faccia anteriore (faccia gastrica) ed una mediale posteriore rivolta inferiormente (faccia renale), separate da un margine (mediale). La faccia gastrica accoglie i vasi dell’ilo (arteria e vena splenica), mentre il magine mediale entra in rapporto, inferiormente con la coda pancreatica. La biopsia percutanea splenica con ago tranciante viene praticata molto di rado, sia per le possibili complicanze di natura emorragica, sia per la difficoltà tecnica di esecuzione della manovra. Essa viene eseguita in regime di ricovero ordinario, allertando l’equipe chirurgica in caso di eventuali emorragie, insorte nonostante la preventiva accurata esclusione di coagulopatie anche latenti.
– Data la varietà delle patologie di dubbia interpretazione clinica e di imaging che possono interessare questo organo, raramente si rende necessario ricorrere alla biopsia ecoguidata con ago tranciante.
Nella maggioranza dei casi, è preferibile praticare un esame citologico (FNAB) con ago di piccolo calibro (23-25 G) e, solo nel caso in cui questi si riveli insufficiente, ricorrere all’impiego di aghi trancianti ma sempre di piccolo calibro (25 G) (Core Biopsy)
La FNAB splenica è indicata per:
– la stadiazione di linfomi o leucemie ;
– l’identificazione di metastasi;
– lo studio di patologie flogistiche ed ascessuali in pazienti immunocompromessi;
– altre lesioni solide benigne; diagnosi delle cisti spleniche;
– la diagnosi di malattie da accumulo;
– la diagnosi di leishmaniosi viscerale.
La stadiazione dei linfomi è un tempo indispensabile per la scelta della terapia da praticare. Ancora valida è la stadiazione di Ann-Arbor che distingue uno stadio clinico ed uno patologico.
La stadiazione, inoltre, è necessaria nel controllo a lungo termine del paziente.
Le metastasi spleniche sono molto rare. Il tumore primario può essere localizzato a livello della mammella, del polmone, del tubo digerente o della prostata.
In corso di melanoma, le metastasi spleniche sono le più frequenti.
La biopsia splenica è indispensabile per la diagnosi di natura delle cisti spleniche.
L’ascesso splenico, di qualsiasi origine (secondario ad embolo settico, a traumi ed infarti) mostra pareti cistiche tipicamente irregolari. Ciò lo rende difficilmente distinguibile dalle strutture spleniche in corso di linfoma.
Le altre lesioni solide benigne sono per lo più rappresentate da noduli multipli di localizzazioni granulomatose ematogene di malattia tubercolare o da granulomi sarcoidei.
– Per quanto concerne le lesioni focali cistiche (cisti epiteliali e pseudocisti), l’aspetto ecostrutturale di cisti semplice è di solito caratteristico delle cisti congenite (da inclusione celomatica) con struttura ecografica di chiara interpretazione; tuttavia in alcuni casi, l’aspetto ecografico è di non univoca interpretazione e il quadro clinico può far sospettare una lesione neoplastica. Per cisti complesse si intendono, invece, formazioni che non presentano ecostruttura omogenea (cisti emorragiche, parassitarie, dermoidi).

La FNAB e la Core Biopsy della milza, come già detto, vengono praticate in regime di ricovero ospedaliero con equipe chirurgica allertata e con scorta di almeno 500 ml di sangue dello stesso gruppo e fattore già crociato.

– Bisogna inoltre ricordare che Controindicazioni assolute alla core biopsy sono:
– leucemie mieloidi croniche;
– mononucleosi infettiva;
– Nella mononucleosi infettiva è controindicato anche l’esame citologico per FNAB in quanto il rischio di rottura di milza è elevatissimo.

Si informa il paziente, in modo dettagliato, sulla modalità di esecuzione della procedura, vantaggi, limiti e rischi. Egli dovrà, preliminarmente all’esame, sottoscrivere un consenso informato.
Non è sempre necessario praticare infiltrazione di anestetico locale, mentre sono necessari controlli clinici pre- e post-procedura. E’ richiesto il digiuno nell’eventualità che l’insorgere di una emorragia imponente renda indispensabile un trattamento chirurgico.
Per l’esecuzione della manovra bioptica, il paziente deve essere posto in decubito laterale destro, con il braccio sinistro iperesteso verso l’alto o posto dietro il capo.
Nel caso di una milza di volume normale o di poco aumentato, si procederà alla biopsia introducendo l’ago, con approccio a livello del nono spazio intercostale sinistro, lungo la linea ascellare media, invitando il paziente a posizionarsi in decubito laterale destro.
In caso di splenomegalia, con paziente in decubito supino, l’approccio sarà sottocostale sinistro.
Disinfettata la cute, si utilizza gel sterile come accoppiatore e, posizionato il trasduttore (protetto in bag sterile per evitare il rischio di sepsi) sulla regione intercostale sinistra, si procede all’esame.
Si impiegano comunemente sonde microconvex da 3,75 MHz che ben si adattano all’approccio bioptico intercostale il più delle volte necessario per raggiungere le lesioni o il parenchima stesso della milza.
La biopsia splenica può essere praticata sia con tecnica a mano libera che avvalendosi di un dispositivo di guida per aghi.La nostra esperienza ci suggerisce di adottare la tecnica con dispositivo di guida in quanto quest’ultimo consente di centrare la lesione con precisione alla prima introduzione dell’ago,evitando il rischio che eventuali ulteriori tentativi possano provocare la lacerazione della capsula con conseguenze emorragiche gravissime. Ci si posiziona con la sonda in modo tale che la linea di guida elettronica rappresentata sul monitor (marker) attraversi il centro della lesione. La puntura, avviene sotto guida ecografica con dispositivo laterale per l’ inserimento dell’ago.
Come già detto, in caso di un prelievo citologico, le modalità di raggiungimento della lesione bersaglio sono pressoché sovrapponibili a quelle del prelievo istologico, mentre la tecnica di esecuzione è strettamente legata al tipo di ago utilizzato. Per la biopsia splenica (Core biopsy) è consigliato l’uso di un ago (tipo Menghini-modificato) di 15 cm di lunghezza e da 23 – 25 G (prelievo microistologico), il quale consente, una volta giunti in prossimità della lesione, di fissare in aspirazione lo stantuffo della siringa e di eseguire un solo passaggio all’interno della lesione; con esso si otterrà un frustolo, il cui spessore sarà determinato dalla misura (espressa in G) dell’ago usato, di dimensioni sufficienti a raggiungere una precisa diagnosi istologica. Con tale ago si otterrà un frustolo di tessuto adatto per un esame microistologico.
Per la citologia splenica (FNAB) è consigliato l’uso di un ago (tipo Chiba o Chiba modificato) da 25 G che consente, raggiunto il centro della lesione, con movimento di va e vieni, di aspirare per capillarità o con siringa, materiale cellulare in quantità idonea per una soddisfacente diagnosi citologica.
Per l’esecuzione della FNAB, il materiale citologico da analizzare va depositato su uno o più vetrini che andranno opportunamente strisciati e fissati.
Terminato il prelievo, nel caso in cui esso sia stato eseguito con ago connesso ad una siringa posta in aspirazione, si abolisce la depressione, si estrae l’ago e lo si disconnette dalla siringa; il materiale contenuto nel lume dell’ago dovrà essere depositato nel modo seguente: previa aspirazione di qualche cc di aria nella siringa, la si riconnette all’ago la cui punta verrà posta quasi a contatto con il vetrino; delicatamente si sospingerà il pistone in avanti per far sì che l’aria insufflata faccia defluire il materiale prelevato.
Nel caso in cui il prelievo sia stato eseguito “per capillarità”, estratto l’ago, lo si connette ad una siringa previamente caricata con qualche cc di aria e si procede come sopra.
La FNAB e la Core biopsy splenica sono indagini che permettono un’accurata diagnosi, avendo una sensibilità di circa il 95% ed una specificità dell’80%. Inoltre, esse consentono l’esecuzione di esami biochimici e microbiologici necessari alla formulazione della diagnosi definitiva.

Il pancreas è situato in un territorio tra i più complessi sotto il profilo anatomico.
L’organo viene suddiviso in tre porzioni: cefalica, del corpo e caudale. La testa è solidalmente unita alla C duodenale; dietro la testa decorrono i vasi mesenterici; il corpo del pancreas incrocia la prima vertebra lombare e fra le due formazioni si trova, a destra, la vena cava; a sinistra, si trova l’aorta; sul margine superiore del pancreas, l’arteria splenica mentre la coda pancreatica assume rapporti con il rene di sinistra e, soprattutto, con la surrenale alla quale spesso è strettamente adesa.
Esso presenta numerose varianti spesso di grande importanza da un punto di vista diagnostico. Una conoscenza dettagliata della sua anatomia facilita anche la comprensione dei rapporti patogenetici esistenti tra le malattie interessanti da un punto di vista diagnostico di imaging. Questa disamina dei rapporti anatomici, inoltre, fa comprendere quanto debba essere preciso l’approccio per un’ eventuale biopsia ecoguidata.
Le tecniche di imaging attualmente disponibili (US, TC, RM) ci consentono una buona visualizzazione delle lesioni focali pancreatiche, ma non sono in grado di distinguere, con un’accuratezza clinicamente accettabile, le lesioni benigne da quelle maligne. In particolare, la metodica US, anche se permette la visualizzazione di alterazioni morfostrutturali molto indicative per un’accurata diagnosi, non fornisce risultati diagnostici precisi. Vi sono, ad esempio, situazioni in cui l’aumento di volume segmentario della ghiandola, secondario a pancreatite, impedisce una diagnosi differenziale con un processo neoplastico.
A partire dagli anni ‘70, con l’ introduzione della FNAB ecoguidata per lo studio di lesioni pancreatiche, si è andata sempre più diffondendo la necessità di adottare questa metodica per:
– ottenere una diagnosi di natura delle lesioni;
– definire la natura di lesioni focali non chiaramente identificate come maligne dalle metodiche di imaging (tumori neuroendocrini non secernenti, diagnosi differenziale tra carcinoma e pancreatite cronica, linfoadenopatie del retroperitoneo, etc.)
– pervenire ad una diagnosi in pazienti sottoposti ad intervento derivativo, in cui non è stata fatta una biopsia chirurgica, oppure preventivamente alla procedura chirurgica;
– rilevare la presenza di metastasi nel retroperitoneo posteriore all loggia pancreatica;
– esclusione di possibile malignità in caso di pseudocisti del pancreas; E’ noto quanto sia di solito infausta la prognosi di pazienti affetti da neoplasia del pancreas, in parte per la difficoltà di porre una diagnosi precoce, in parte per l’aggressività intrinseca della malattia. Lo screening ecografico ha dato un contributo notevole nel mettere in evidenza lesioni pancreatiche di piccole dimensioni (circa 1 cm) permettendo di bioptizzarle quando siano ancora suscettibili di eventuale terapia chirurgica radicale.

Data la difficoltà, come già detto, di porre diagnosi differenziale tra lesioni benigne e maligne anche con altre metodiche di imaging combinate (ERCP), l’esame bioptico oggi costituisce l’unica metodica in grado di fornire una diagnosi certa di malignità o benignità.

La FNAB pancreatica viene praticata in regime di ricovero ospedaliero o in day-hospital.
Il paziente deve essere informato, in modo dettagliato, sulle modalità di esecuzione, sui vantaggi e sui limiti della metodica, nonché sugli eventuali rischi. A tal proposito, dovrà sottoscrivere il consenso informato.
E’ richiesto il digiuno da almeno 12 ore prima dell’esame, per il prevedibile attraversamento dello stomaco.
Disinfettata la cute, prima di posizionare la sonda (accuratamente protetta in bag sterile per garantire al paziente l’asepsi) sulla regione epigastrica, si utilizza gel sterile come mezzo di accoppiamento.
Solitamente non si adotta la tecnica a mano libera, poiché le lesioni da bioptizzare sono frequentemente di piccole dimensioni e sia la sede topografica del pancreas che quella delle lesioni a suo carico, sono non raggiungibili in maniera agevole per l’interposizione di altre strutture addominali. Pertanto, vi è la necessità di eseguire il prelievo con estrema accuratezza e precisione.
Abitualmente si utilizza una sonda convex o microconvex da 3,75 MHz, preferibilmente collegata ad un apparecchio ecografico munito di seconda armonica per ottenere una migliore risoluzione di immagine anche in pazienti ove il pancreas sia difficilmente accessibile agli US.
Si posiziona il trasduttore in modo tale che la linea di guida elettronica rappresentata sul monitor (marker) attraversi il centro della lesione. La puntura, sotto guida ecografica, avviene con l’ausilio di un dispositivo laterale di guida per l’ago, applicato sul lato della sonda. Tale dispositivo, avendo inclinazione e calibro variabile per accogliere aghi di diverso calibro, ne consente la modifica dell’inclinazione di penetrazione in rapporto alla sede del bersaglio, già precedentemente allineato con il marker elettronico del monitor.
Per il prelievo citologico si utilizza un ago tipo Chiba o Chiba modificato da 23 G che consente, raggiunto il centro della lesione, con movimento di “va e vieni”, di prelevare per “capillarità” o con siringa posta in aspirazione, materiale cellulare in quantità idonea per una soddisfacente diagnosi.
Nello studio delle lesioni del pancreas si ricorre alla Core Biopsy esclusivamente per l’identificazione dei fattori prognostici e l’eventuale classificazione istologica nei pazienti con neoplasia accertata, inoperabili. La Core Biopsy effettuata su tessuto pancreatico non neoplastico induce in altissima percentuale una pancreatite acuta con alto rischio di morbilità per il paziente. La core Biopsy eseguita su tessuto sicuramente neoplastico non induce pancreatite in quanto le cellule tumorali non hanno capacità secretiva enzimatica. Le modalità di raggiungimento della lesione bersaglio sono simili a quelle del prelievo citologico (FNAB), mentre la tecnica di esecuzione è legata ai diversi tipi di aghi utilizzati.
L’uso di un ago Menghini-modificato (prelievo microistologico) consente, una volta giunti in prossimità della lesione, di fissare in aspirazione lo stantuffo della siringa e di eseguire una sola penetrazione all’interno della lesione, per ottenere un frustolo per microistologia il cui spessore sarà sempre determinato dalla misura (espressa in G) dell’ago usato
In entrambi i casi, è consigliabile impiegare aghi di piccolo-medio calibro (del tipo Menghini/ Chiba-Chiba modificato) per prelevare un frustolo di tessuto/cellularità sufficienti per la formulazione di una diagnosi istologica/citologica.
Numerosi studi dimostrano, per la Core Biosy pancreatica, una sensibilità che va dal 60% al 95% ed una specificità che tende al 100%. I falsi negativi sono quasi inesistenti e rappresentati, nella loro bassa percentuale, da una mancata centratura del bersaglio.
Gli accorgimenti tecnici da tenere presenti durante l’esecuzione della manovra sono essenzialmente gli stessi che si osservano per le biopsie epatiche, e cioè evitare di trapassare la via biliare principale dilatata o il colon, i vasi arteriosi dell’ilo epatico o i vasi pancreatici.
Sulla validità diagnostica della biopsia pancreatica, attualmente, le opinioni sono concordanti.
Lo stesso non avviene per quanto riguarda la scelta degli aghi. Secondo il parere di alcuni autori, è preferibile un prelievo citologico, con ago Chiba (0,7 mm) ad uno microistologico, con ago Surecut (0,7mm). Livraghi ed altri hanno dimostrato, in un lavoro basato sulla comparazione di 50 pazienti con patologia pancreatica espansiva e sottoposti a biopsia sia citologica che microistologica, la maggiore accuratezza della prima tecnica rispetto alla seconda. La nostra esperienza concorda ed è sovrapponibile alla scuola di Livraghi.
Se è vero che la microistologia è inferiore alla citologia nella comune diagnostica, essa, però, rimane una tecnica importante nell’identificazione di alcune rare forme neoplastiche (carcinoma papillifero, etc.), nello studio di tumori endocrini e in presenza di lesioni espansive benigne, grazie alla possibilità di effettuare sul prelievo anche studi immunocitochimici, peraltro non di rado possibili anche su buoni campioni citologici .
Le complicanze legate alla biopsia pancreatica su tessuto tumorale sono molto basse, aggirandosi tra lo 0,006% e lo 0,005%.
Al contrario, elevato è il rischio di disseminazione neoplastica con l’uso di aghi trancianti.

Di solito, le paratiroidi vengono descritte come corpi ghiandolari di forma ovoidale, situati ai poli dei lobi tiroidei, ma una peculiarità anatomica delle paratiroidi è una marcata variabilità di sede, numero e dimensioni. Usualmente, solo la coppia di paratiroidi superiori ha sede relativamente costante, trovandosi, quasi sempre, posteriormente alla porzione del lobo superiore tiroideo o nelle sue immediate vicinanze. In mancanza di lesioni, le paratiroidi sono difficilmente rilevabili all’esame US.
Le lesioni paratiroidee, visibili all’ecografia effettuata con sonde small-part, necessitano di un esame citologico per giungere ad una corretta diagnosi di natura.
Anche in questo caso, la guida ecografica è indispensabile soprattutto perché, anche in presenza di grosse tumefazioni, le paratiroidi non risultano solitamente palpabili.
La citopatologia delle paratiroidi è abbastanza problematica se l’esame citomorfologico non viene integrato da tecniche per la immunocolorazione del PTH o dall’impregnazione argentica sec. Grimelius. Infatti la presentazione citomorfologica di noduli adenomatosi o iperplastici delle paratiroidi può non essere sufficientemente specifica per la elevata somiglianza tra i tireociti e le cellule paratiroidee. Può essere vantaggioso, in tali casi, anche dosare il PTH sull’eluito dell’agoaspirato, misurandone la concentrazione differenziale ripetto a quella plasmatica dello stesso paziente.

La FNAB delle paratiroidi viene praticata ambulatorialmente.
Il paziente deve essere informato, in modo dettagliato, sulla modalità di esecuzione, sui vantaggi diagnostici e sui rischi della procedura. E’ buona norma richiedere la sottoscrizione di un consenso informato.
Non è sempre necessario praticare infiltrazione di anestetico locale, né sono necessari controlli clinici. Non è richiesto il digiuno e non vi è bisogno di degenza. Prima di procedere al prelievo, si disinfetta il campo con alcool iodato o con sali di ammonio quaternario. Si utilizzano queste sostanze disinfettanti anche come mezzo di accoppiamento.
Si richiede una collaborazione attiva del paziente, per ottenere risultati ottimali nell’esecuzione del prelievo. In posizione supina, lo si invita ad iperestendere il collo. Gli si consiglia, inoltre, di evitare, per quanto possibile, di deglutire o, laddove ne avvertisse la necessità, di avvisare l’operatore con un cenno, per evitare che l’ago possa deviare la traiettoria.
Poggiata la sonda sulla cute (si usano sonde small-part da 7,5 o 10 MHz), si procede al prelievo con un ago tipo Chiba da 23 G, avendo cura di visualizzare il bersaglio ed allineare la penetrazione dell’ago con esso.
La tecnica di prelievo con dispositivo di guida è particolarmente indicata per le paratiroidi, in quanto di piccole dimensioni e di difficile accesso.
Si posiziona il trasduttore in modo tale che la linea di guida elettronica rappresentata sul monitor (marker) attraversi il centro della lesione. La puntura, sotto guida ecografica, avviene con l’ausilio di un dispositivo di guida per l’ago, applicato lateralmente alla sonda. Tale dispositivo presenta inclinazione e calibro variabile per accogliere aghi di diverso calibro e consentirne la modifica dell’inclinazione di penetrazione in rapporto alla sede del bersaglio, già precedentemente allineato con il marker elettronico del monitor. Visualizzata la punta dell’ago nella lesione, con lievi movimenti di “va e vieni”, per capillarità o mediante aspirazione, si ottiene un prelievo citologico soddisfacente.La tecnica a mano libera sarà eseguita solo quando la lesione paratiroidea è di volume superiore a 5mm , e richiede, in ogni caso, un’elevata esperienza del personale sanitario addetto a tali procedure diagnostiche.
Terminato il prelievo, estratto l’ago, si provvederà a depositare il materiale contenuto nel lume dell’ago come di seguito indicato: previa aspirazione di qualche cc di aria in una siringa, la si connette all’ago la cui punta verrà posta quasi a contatto con il vetrino; delicatamente si sospingerà il pistone in avanti per far sì che l’aria insufflata faccia defluire il materiale prelevato.
Sugli strisci allestiti secondo le tecniche usuali, si possono effettuare metodiche immunoistochimiche; inoltre, la colorazione di Grimelius consente di eliminare dubbi diagnostici (adenomi tiroidei). Si precisa che dette metodiche possono essere espletate limitatamente alla sede cervicale delle paratiroidi. Si riserva alla TAC, alla RM e ad altre metodiche angiografiche lo studio delle eventuali localizzazioni extracervicali delle paratiroidi.

La parotide è la ghiandola salivare più voluminosa, posta subito al di sotto del meato acustico esterno, delimitata dal piano cutaneo, l’articolazione temporomandibolare ed il muscolo massetere. Avulsa dal corpo principale, tra l’arco dell’osso zigomtico in alto ed il dotto ghiandolare principale in basso, si reperta la porzione accessoria. La ghiandola si estende dietro la branca ascendente della mandibola, il muscolo sternocleidomastoideo ed il ventre posteriore del muscolo digastrico. Medialmente, prende rapporti con la loggia parafaringea tra il margine posteriore della mandibola ed il muscolo pterigoideo.
Le altre ghiandole salivari maggiori sono le sottomandibolari e sottolinguali.
Le principali patologie delle ghiandoli salivari possono essere così distinte:
ipertrofia semplice;

scialoadenite
acuta
suppurativa (parotite epidemica)
specifica (TBC, Lue, Actinomicosi);

pneumatocele salivare;

malattia di Mikulicz;

litiasi

cisti salivare e mucocele

tumori benigni
adenoma pleomorfo (tumore misto) ;
adenolinfoma o tumore di Whartin;
adenoma monomorfo nelle sue varianti;
adenomioepitelioma papilloma duttale;
papilloma duttale invertito;
sialoadenoma papillifero. tumori maligni
carcinoma mucoepidermoide
adenocarcinoma NAS
adenocarcinoma a cellule aciniche
carcinoma adenoideo-cistico o cilindroma
adenocarcinoma polimorfo di basso grado tumore misto maligno;
adenocarcinoma a cellule basali;
carcinoma epi-mioepiteliale;
carcinoma oncocitario;
carcinoma a cellule squamose (epidermoide)
carcinoma indifferenziato a piccole e grandi cellule;
mioepitelioma maligno;
carcinoma dei dotti salivari;
carcinoma intraduttale;
carcinoma sebaceo;
cistoadenocarcinoma;
carcinoma a cellule chiare;
carcinoma ialinizzante a cellule chiare;
sialoblastoma.
(WHO, seconda edizione modificata).

Inoltre, ricordiamo il linfoma non Hodgkin, l’emangioma, il lipoma e le metastasi.

L’ecografia riveste un ruolo fondamentale nella diagnosi delle patologie benigne e quelle con sospetto di malignità delle ghiandole salivari maggiori. In considerazione della grande varietà di patologie neoplastiche delle ghiandole salivari, si è reso necessario affiancare all’ecografia la diagnostica citologica (FNAB) ecoguidata. Tale metodica ha un’alta specificità e sensibilità sul riconoscimento e classificazione di patologie neoplastiche, nonché sull’identificazione di patologie infiammatorie, della ghiandola parotide e delle ghiandole salivari maggiori.
L’esame viene praticato in regime ambulatoriale e non è richiesta anestesia locale.
Il paziente deve essere informato, in modo dettagliato, sulla modalità di esecuzione, sui vantaggi diagnostici e sui rischi della procedura. E’ buona norma richiedere, anche per queste semplici procedure, il consenso informato del paziente.
Non è richiesto il digiuno, non sono necessari controlli clinici e non vi è bisogno di degenza .
Prima di procedere al prelievo, si disinfetta il campo con alcool iodato o con sali di ammonio quaternario. Si utilizzano queste sostanze disinfettanti anche come accoppianti.
Si richiede una partecipazione attiva del paziente, per ottimizzare i risultati nell’esecuzione del prelievo. In posizione supina, lo si invita a lateralizzare il capo od eventualmente ad iperestendere il collo ed a mantenere questa posizione stabile durante tutta la durata della procedura.
Il prelievo potrà essere eseguito con tecnica a mano libera o avvalendosi dell’ausilio di un dispositivo di guida per l’ago.
La tecnica a mano libera prevede l’uso di sonde per strutture superficiali da 7,5-10 MHz, preferibilmente small part prive di dispositivo di guida, ed aghi per citologia tipo Chiba da 23-25 G
Appoggiato il trasduttore (preventivamente disinfettato o imbustato in bag sterile) sulla cute in corrispondenza della loggia parotidea , si procede al prelievo, avendo cura di visualizzare il bersaglio ed allineare la penetrazione dell’ago con esso.
Per determinare il corretto tragitto che dovrà compiere l’ago, con l’involucro sterile dello stesso si eserciterà una lieve pressione sulla cute del paziente al margine della sonda. Questa manovra indicherà sul monitor, con un’ombra acustica, il preciso punto di inserzione e di allineamento dell’ago con il bersaglio.
Penetrati quindi con l’ago e visualizzata la sua punta nella lesione, con lievi movimenti di “va e vieni”, per capillarità o per aspirazione, si otterrà un prelievo citologico soddisfacente. La tecnica con dispositivi di guida, invece, si pratica applicando alla stessa sonda utilizzabile per il prelievo a mano libera (ricoperta di gel ed inserita in una “bag”sterile) , un sistema di guida per aghi anch’esso sterile.
La traiettoria dell’ago ( tipo Chiba 23-25 G) è riprodotta elettronicamente sullo schermo (marker) e il trasduttore con il sistema di guida deve essere posizionato in modo tale che il marker elettronico rappresentato sul monitor attraversi il centro della lesione per consentire una precisa introduzione dell’ago.
Il materiale prelevato con ago di piccolo calibro, va recuperato e depositato su un vetrino secondo i protocolli e le procedura già descritti nei precedenti paragrafi.
L’esame citologico effettuato sulle ghiandole salivari ha una sensibilità variabile tra il 92% ed il 98% e una specificità dell’84- 87% nel riconoscere forme neoplastiche maligne.

La prostata è allocata anteriormente nella piccola pelvi tra la vescica (in alto), il piano muscolare perineale (in basso), il retto (posteriormente) e la sinfisi pubica (sul davanti). E’ un organo fisso aderente all’uretra ed alla vescica. Ha una forma tronco-conica appiattita sul piano frontale, con asse maggiore rivolto in basso ed in avanti. La sua allocazione topografica permette un approccio diagnostico ecografico, sia con insonazione sovrapubica, che endorettale. Entrambe permettono una valutazione volumetrica precisa della ghiandola, ma è riservata all’ecografia endorettale la valutazione della struttura ghiandolare e l’individuazione di modularità sospette per neoplasia (carcinoma) (fig.136).
Il carcinoma della prostata, dalla sintomatologia silente, è la più comune causa di decesso nel sesso maschile a partire dalla VII decade di vita. Purtroppo, fino a qualche anno fa, la neoplasia veniva diagnosticata prevalentemente in fase tardiva, quando la capsula ghiandolare era stata già infiltrata, con conseguente riduzione delle possibilità terapeutiche. Attualmente, le tecniche di imaging (RM con bobina endorettale) ed US (con insonazione transrettale) hanno dato una svolta decisiva per pervenire ad una diagnosi precoce. All’utilizzo degli US con insonazione endorettale si aggiunge la biopsia US-guidata, considerata oggi il gold standard nelle diagnosi per neoplasia prostatica.
La prevenzione di tale patologia si effettua periodicamente con i seguenti esami:
– dosaggio del PSA;
– esplorazione digitale prostatica rettale;
– ecografia prostatica sovrapubica e transrettale;
– biopsia prostatica US-guidata.

Dosaggio del PSA. Il PSA (Antigene Prostatico Specifico) è una glicoproteina che ha il compito di idrolizzare il coagulo dell’eiaculato. Una concentrazione inferiore a 4 ng/ml non ha significato patologico; valori compresi tra 4 e 10 ng/ml identificano quella che viene definita la “zona grigia” (in questo caso vi è solo un lieve sospetto di una neoplasia); valori superiori a 10 ng/ml ed in crescita progressiva possono verosimilmente essere indice di neoplasia.

Un incremento del PSA può essere dovuto anche ad un’ipertrofia prostatica benigna, ad un processo infiammatorio a carico della prostata (prostatite), ad insulti derivanti da un’esplorazione digitale o da un’ecografia transrettale.
Nell’iter diagnostico, quindi, il dosaggio del PSA deve sempre precedere le manovre invasive. Tuttavia, le recenti acquisizioni scientifiche hanno messo in discussione il valore assoluto del PSA, attribuendo al risultato dell’esame un mero ruolo orientativo.
Esplorazione digitale prostatica rettale. E’ un tempo importante nel percorso diagnostico. Fornisce indicazioni circa il volume, la consistenza, la simmetria della ghiandola, la presenza di noduli, l’eventuale dolenzia.

Ecografia prostatica sovrapubica e transrettale
. Conferma, con maggiore precisione, ciò che è stato rilevato alla palpazione. L’esame può essere eseguito con sonda settoriale o convex per insonazione sovrapubica da 3,75 MHz(fig.1), ovvero con sonda microconvex endocavitaria per insonazione endorettale da 7,5 MHz (fig.3b).
Biopsia prostatica US-guidata (Core biopsy ). E’ indicata in presenza di un valore del PSA free >10 ng/dl in ascesa, anche quando l’esplorazione prostatica endorettale, l’ecografia transrettale e le altre tecniche di imaging risultano negative.
La necessità di uno studio istologico (micro-istologico core biopsy) su tessuto prostatico ha reso indispensabile l’introduzione della biopsia ecoguidata.
È un esame non completamente scevro da complicanze. Per questo motivo, il paziente va dettagliatamente informato sulla modalità di esecuzione e sui rischi della manovra, richiedendo un formale consenso.
Il paziente deve osservare alcune prescrizioni preliminari all’esame:
– il digiuno, per evitare complicanze in corso di eventuali sindromi vagali;
– praticare un clistere di pulizia;
– effettuare un’antibiotico-profilassi almeno 24 ore prima dell’esame.
Al fine di evitare complicanze anche gravi (exitus), l’operatore dovrà preventivamente valutare i fattori della coagulazione per escludere la presenza di emopatie coagulative anche occulte. E’ buona norma far eseguire al paziente anche una visita cardiologica ed un esame ECG. Inoltre, i pazienti sotto terapia anticoagulante (antiaggreganti, dicumarolici) dovranno preventivamente sospendere tale trattamento onde evitare complicanze emorragiche.
L’esame può essere eseguito sotto controllo ecografico endorettale con tecnica di prelievo transperineale o transrettale.

Biopsia prostatica transperineale. La biopsia prostatica transperineale US-guidata è condotta invitando il paziente a posizionarsi sul lettino in posizione supina o in decubito laterale sinistro, ovvero, preferibilmente, in posizione genu-cubitale . Quest’ultima è la più indicata, in quanto la regione perineale viene meglio esposta. Infatti, i genitali esterni, per gravità si allontanano dalla regione perineale ed i piani non risultano alterati, come nel decubito supino e in quello laterale.
Disinfettata la cute con sali di ammonio quaternario, si introduce l’ago in un punto del perineo situato 1,5 cm al di sotto del margine anale ed a 0,5-1 cm lateralmente al rafe mediano(Fig.137).
Si attraversa il piano ischio-rettale e quello pelvi-rettale prima di penetrare nella ghiandola prostatica e, quindi nell’eventuale lesione bersaglio. Il percorso dell’ago sarà guidato da un dispositivo di guida (fig.138) applicabile all’impugnatura della sonda e quindi l’ago sarà visualizzato insonando la ghiandola prostatica con una sonda endorettale lineare da 6 MHz (fig.139). Generalmente, gli aghi usati per questo tipo di biopsia sono degli aghi trancianti con uno spessore di circa 20-21 G con punta tipo tru – cut (fig.140a,140b).
Questa tecnica non è ben tollerata dal paziente per cui si rende sempre necessaria una preventiva infiltrazione con anestetico locale.
Biopsia prostatica transrettale. La biopsia prostatica transrettale ecoguidata con sonda endocavitaria micro-convex da 7,5 MHz si esegue praticando una preventiva ecografia prostatica endorettale.
Dovendo l’ago attraversare la parete anteriore dell’ampolla rettale, si può verificare contaminazione batterica e pertanto si prescrive al paziente, come già detto, antibioticoprofilassi e preventiva pulizia dell’ampolla rettale con clisteri. Inoltre, immediatamente prima di procedere all’esame, si avrà cura di detergere il retto con una soluzione di un clorossidante diluito in soluzione fisiologica sterile. Tale disinfettante, alle opportune diluizioni, è ben tollerato dai pazienti e non provoca reazioni infiammatorie della mucosa rettale.
Visualizzate le aree sospette da bioptizzare, si introduce un ago tranciante munito di sistema automatico (da 19 o 20 Gauge tipo tru-cut),(fig141a,141b) in un apposito dispositivo collimatore metallico ad inclinazione non variabile applicato alla sonda (fig.141c,fig141d), il quale permetterà all’ago di centrare il bersaglio che sarà collimato, con attenti movimenti della sonda, col marker elettronico del monitor dell’ecografo(fig.142a,142b).
Tale biopsia è più semplice e più rapida rispetto alla trans perineale, ed è meglio tollerata dal paziente in quanto meno invasiva e dolorosa. L’ago, preventivamente collimato con la lesione, avanzerà perforando il retto e giungerà nel parenchima prostatico. Ci si fermerà con la punta a pochi mm dalla lesione e si procederà ad attivare il movimento automatico dell’ago tranciante. Si otterrà, così, un rapido avanzamento del mandrino (munito di apposita scanalatura in prossimità della punta) con successiva progressione della camicia tranciante. In questo modo si ricaverà un frustolo di tessuto prostatico di circa 2 cm corrispondente alla lunghezza della scanalatura.
I frustoli prelevati (minimo 10-12) verranno adeguatamente trattati ed inviati all’anatomopatologo per l’esame istologico.
L’esame è indicato per la diagnosi di adenocarcinoma prostatico e per la sua eventuale stadiazione, per la ricerca dei recettori cellulari e per il dosaggio dei biomarcatori, per la valutazione dell’attività del DNA cellulare.
Le controindicazioni alla biopsia prostatica ecoguidata sono rappresentate dai processi infiammatori dell’apparato uro-genitale e della prostata che potrebbero evolvere in una sepsi generalizzata.
Le complicanze per cause locali che possono seguire ad una biopsia prostatica transrettale sono: rettorragia anche imponente in pazienti affetti da patologia emorroidaria, ipertensione portale. Le complicanze per cause generali, comuni per entrambe le manovre bioptiche, sono: deficit della coagulazione da coagulopatia o farmacologicamente indotto .
Abbiamo condotto uno studio dall’ottobre 2000 al gennaio 2005, su 86 pazienti con un valore di PSA compreso tra 4 e 10 ng/ml e un rapporto di PSA free/PSA totale tra 15% e 25%, il quale ha dimostrato che una discreta percentuale di neoplasie prostatiche sfugge sia all’esplorazione rettale che all’ecografia transrettale.
Obiettivo dello studio è la dimostrazione dell’utilità della biopsia prostatica per individuare patologie neoplastiche anche in una prostata negativa all’esplorazione digitale, all’ecografia transrettale ed alle altre tecniche di imaging.
Degli 86 pazienti, sottoposti ad ecografia transrettale ( biopsie random: 12 prelievi con ago da 18 Gauge), ne sono stati selezionati 34 di età compresa tra 55 e 75 anni.
I risultati bioptici hanno evidenziato una neoplasia prostatica nel 14,71% dei pazienti (5); adenocarcinoma in situ nel 5,88% (2); prostatite nel 11,76% (4); ipertrofia prostatica benigna nel 67,65% (23).
Un altro studio è stato condotto su 55 pazienti con valore di PSA totale inferiore a 40 ng/ml e con reperto palpatorio e/o ecografico transrettale sospetto per neoplasia confinata ad un solo lobo prostatico.
Sottoposti a biopsia prostatica random (6 prelievi per lobo, con ago tranciante da 18 Gauge), è stato possibile porre diagnosi di adenocarcinoma in 19 casi, di cui il 63,16% (12 casi) ha confermato la monolateralità, mentre il restante 36,84% ha mostrato interessamento anche dell’altro lobo.
Questo studio conferma che la biopsia prostatica di entrambi i lobi consente di identificare neoplasie anche nelle sedi apparentemente indenni.
In conclusione, possiamo affermare che l’esame bioptico prostatico transrettale rappresenta oggi l’unico presidio diagnostico attendibile nelle neoplasie della prostata.

I reni sono posizionati posteriormente nel retroperitoneo e prendono rapporti di contiguità con il margine del muscolo psoas. Sono circondati dal grasso perirenale. Essi sono mantenuti nella loro sede dalla fascia perirenale anteriore e posteriore, i cui due foglietti si uniscono lateralmente a formare la fascia laterocolica. Per la loro allocazione topografica, i reni entrano in rapporto con numerosi organi e strutture addominali: a destra, con la faccia postero-inferiore del lobo destro del fegato, la colecisti, la seconda porzione del duodeno e la flessura epatica del colon; a sinistra, con la parete posteriore dello stomaco, il colon traverso, la flessura splenica del colon, la coda pancreatica e la milza.
Le vie di accesso ecografiche sono: per il rene di destra, le scansioni assiali anteriori eseguite attraverso la finestra epatica , la scansione sagittale anteriore, le scansioni coronali e le scansioni sagittali oblique; per il rene di sinistra, la scansione coronale è da considerare tra le migliori per la valutazione dell’anatomia intrarenale. Pertanto, questi piani di scansione risultano utili per il riconoscimento delle sospette patologie neoplastiche renali meritevoli di approfondimento diagnostico con citologia o microistologia.
Sia la FNAB che la Core Biopsy ecoguidate non vengono eseguite frequentemente sul parenchima renale, in quanto la scuola urologica preferisce praticare, in caso di sospetta neoplasia, esami di imaging come esame tomodensitometrico con MDC (angio RM) ed eventuale esame angiografico seguiti dall’eventuale asportazione chirurgica.
Poche sono le indicazioni alle metodiche diagnostiche invasive (FNAB/Core Biopsy) per il rene, e le vie urinarie:
– piccole lesioni focali solide
– lesioni ipo/avascolari all’angiografia o alla TC;
– lesioni miste (solido-cistiche)
– differenziazione tra neoformazioni delle vie escretrici (carcinomi papilliferi dell’urotelio dei bacinetti renali) e grosse neoformazioni a carico del rene con invasione della pelvi renale;
– lesioni non trattabili chirurgicamente ma di cui si renda necessaria la tipizzazione.

La metodica diagnostica citologica viene sempre preferita a quella per microistologia per i minori rischi che presenta essendo i risultati che si ottengono quasi sovrapponibili.
La FNAB e la Core Biopsy vengono praticate in day-hospital.
La Core biopsy è essenzialmente indicata per lo studio delle glomerulonefriti e delle sindromi nefrosiche.
Nei casi in cui essa si renda necessaria, è consigliato l’uso di un ago Menghini-modificato che consente, una volta giunti in prossimità della lesione, di fissare in aspirazione lo stantuffo della siringa e di eseguire un solo passaggio all’interno della lesione, per ottenere un frustolo di tessuto il cui spessore sarà determinato dalla misura (espressa in G) dell’ago usato. Il frustolo ottenuto sarà opportunamente trattato ed inviato al patologo per le tecniche di inclusione in paraffina.
La sensibilità di questi esami è pressoché sovrapponibile e va dal 80% al 90%, così come la specificità che è del 99% circa.
Si informa il paziente, in modo dettagliato, sulla modalità di esecuzione della procedura, sui vantaggi e sui limiti della stessa, nonchè sugli eventuali rischi e pertanto sottoscriverà un consenso informato.
Non è sempre necessario praticare infiltrazione di anestetico locale, sono necessari i normali controlli clinici di routine, dando rilievo alle eventuali problematiche di coagulazione. E’ richiesto il digiuno per evitare le conseguenze che potrebbero prodursi in seguito all’eventuale insorgnza di fenomeni vagali. Abitualmente, non vi è bisogno di degenza. Disinfettata la cute con alcool iodato o soluzione di sali di ammonio quaternario, prima di posizionare la sonda (accuratamente protetta in bag sterile per garantire al paziente l’asepsi ) sull’area da insonare (spazi intercostali o subcostali a seconda del bersaglio da raggiungere), si utilizza gel sterile come accoppiatore.
Usualmente, la tecnica adottata non è quella a mano libera, in quanto le lesioni da bioptizzare il più delle volte sono di piccole dimensioni e, pertanto, vi è la necessità di un’estrema accuratezza e precisione.
Si posiziona il trasduttore – generalmente vengono adoperate sonde convex da 3,75 MHz – in modo tale che la linea di guida elettronica rappresentata sul monitor (marker) attraversi il centro della lesione. La puntura, sotto guida ecografica, avviene con l’ausilio di un dispositivo laterale di guida per l’ago, applicato lateralmente alla sonda. Tale dispositivo presenta inclinazione e calibro variabile per accogliere aghi di diverso calibro e consentirne la modifica dell’inclinazione di penetrazione in rapporto alla sede del bersaglio, già precedentemente allineato con il marker elettronico del monitor.
Per le caratteristiche ipervascolari di alcuni processi espansivi del rene e la facile diagnosi di malignità, chi scrive consiglia di impiegare aghi molto sottili, atraumatici e flessibili (ago di Chiba), solo in rarissimi casi sarà utile l’impiego di aghi per biopsia ma sempre di piccolo calibro (tipo Menghini o Menghini modificato) per prelievo microistologico sotto attento controllo ecografico. È di fondamentale importanza centrare la lesione, evitando strutture delicate quali: anse intestinali e fegato, a destra; la milza, a sinistra.
L’esecuzione del prelievo citologico (FNAB) avviene preferibilmente “per capillarità” onde evitare, con la tecnica aspirativa, di ottenere un prelievo francamente ematico data la ricca vascolarizzazione dell’organo.
Una volta prelevato, il materiale va preparato, trattato ed analizzato per stabilire la natura della lesione.
Il materiale citologico prelevato va strisciato su uno o più vetrini.
Terminato il prelievo, il materiale contenuto nel lume dell’ago dovrà essere depositato così come di seguito indicato: estratto l’ago, lo si connette ad una siringa previamente caricata con qualche cc di aria, la cui punta verrà posta quasi a contatto con il vetrino; delicatamente si sospingerà il pistone in avanti per far sì che l’aria insufflata faccia defluire il materiale prelevato.
Qualora l’ago sia provvisto di mandrino, preliminarmente alla connessione della siringa all’ago, si provvede a reintrodurre il mandrino nel lume favorendo così ulteriormente il deflusso del materiale.
Falsi negativi sono più probabili nella FNAB, in quanto conseguenza della ricca vascolarizzazione delle masse renali e, quindi, dovuti ad un prelievo citologico prevalentemente ematico. I falsi positivi sono rari e causati solitamente da una errata interpretazione del quadro citologico da parte del patologo.

Dal punto di vista anatomico, il surrene destro è situato superiormente e antero-medialmente al polo superiore del rene; l’area surrenalica è topograficamente delimitata in avanti dalla faccia posteriore della vena cava, lateralmente dal margine postero-mediale del lobo epatico destro e medialmente dal pilastro del diaframma. Il surrene sinistro, invece, è posto antero-medialmente al polo superiore del rene, lateralmente all’aorta ed al pilastro del diaframma, posteriormente alla coda del pancreas ed alla vena splenica, infero-medialmente al margine mediale della milza. Le dimensioni sono esigue: tra i 2 e i 3,5 cm di lunghezza e tra i 2 e i 2,5 cm di larghezza. La migliore via di accesso per la visualizzazione del surrene destro è costituita dalle scansioni intercostali, sia assiali che longitudinali; per il surrene sinistro, quando possibile, la milza viene utilizzata come finestra acustica. Il paziente viene posto in decubito supino, avendo cura di far sollevare lievemente il fianco di sinistra ed insonando il surrene per via intercostale sull’ascellare media posteriore. Tali nozioni per sottolineare la via di accesso al surrene per la biopsia. Si terrà conto della visibilità ecografica e dei rapporti anatomici del bersaglio.

I surreni sono spesso sede di metastasi, in particolare, di origine polmonare. Le indicazioni alla FNAB sono:
– sospetta neoplasia primitiva del surrene
– massa surrenalica unica ed asintomatica, riscontrata occasionalmente in corso di altre indagini;
– masse surrenaliche in età pediatrica;
– riscontro di masse surrenaliche mono/bilaterali in pazienti neoplastici.

La biopsia del surrene destro si può praticare per via transepatica, mediante un approccio anteriore destro, o per via intercostale, con approccio laterale avendo cura di evitare sempre il parenchima renale.
Per il surrene sinistro si impiega l’approccio posteriore guidato dagli US. Non è indicato quello anteriore né il laterale. La puntura della milza e del rene vanno sempre evitate. La manovra pertanto è difficoltosa sia per l’anatomia della regione, che per la necessità di non attraversare il seno costo-frenico e/o il diaframma.
La FNAB surrenalica US assistita deve essere preferibilmente effettuata avvalendosi di sonda munita di dispositivo di guida laterale per aghi. E’ consigliabile l’utilizzo di un trasduttore microconvex da 3,75 MHz e di aghi tipo Chiba da 25G muniti di microsatinatura del mandrino verso la punta per incrementare la visualizzazione della stessa.
Essendo una metodica non completamente priva di complicanze è necessario che il paziente dettagliatamente informato sulle modalità di esecuzione ,sui vantaggi e gli eventuali rischi della procedura rilasci un formale consenso prima di procedere all’esame.La biopsia del surrene per ago sottile viene praticata in Day Hospital e non è necessaria infiltrazione di anestetico locale ne premedicazione del paziente. Onde evitare il rischio di sepsi, sarà indispensabile la preventiva ed accurata disinfezione della cute del campo operatorio, che verrà circoscritto con telini sterili. Allo stesso scopo, la sonda dovrà essere opportunamente contenuta in un sacchetto di plastica (biopsybag) o in un coprisonda di caucciù sterili, ovvero disinfettata con alcool iodato o Betadine (prima del prelievo). E’ consigliato l’uso di gel sterile come mezzo di accoppiamento.
La traiettoria dell’ago ( tipo Chiba 25 G) è riprodotta elettronicamente sullo schermo (marker) e il trasduttore con il sistema di guida deve essere posizionato in modo tale che il marker elettronico rappresentato sul monitor attraversi il centro della lesione per consentire una precisa introduzione dell’ago.
Il materiale prelevato con ago di piccolo calibro va recuperato e depositato su un vetrino seguendo i protocolli e le procedure ilustrati in precedenza.
Bisogna tuttavia precisare che l’esame ecografico non rappresenta una valida guida alla FNAB dei surreni, in particolar modo se le lesioni surrenaliche sono di piccole dimensioni. Si preferisce, per l’espletamento di tale metodica, il ricorso all’esame TC con prelievi TC-guidati.
La sensibilità dell’esame si aggira intorno all’85%, mentre la specificità raggiunge il 100%. L’elevata sensibilità dell’esame ci consente di diagnosticare tumori primitivi e metastasi; tuttavia può essere difficile o impossibile la diagnosi differenziale citologica tra adenomi corticali e carcinomi ben differenziati, poiché essa, in mancanza di ovvie caratteristiche citologiche di malignità, è basata esclusivamente sul criterio dell’infiltrazione neoplastica.
Una controindicazione alla FNAB è rappresentata dal feocromocitoma per il rischio che la puntura provochi liberazione di catecolamine con conseguente crisi ipertensiva parossistica; tuttavia quando il feocromocitoma assume un verosimile aspetto ecografico di secondarietà in pazienti con presenza di storia oncologica preesistente, può accadere che la neoformazione venga punta accidentalmente, talvolta senza conseguenze per il paziente. Una valida applicazione della FNAB ecoguidata è la diagnosi preoperatoria delle neoplasie surrenaliche pediatriche (neuroblastoma, ganglioneuroblastoma).

L’ecografia rappresenta una valida metodica strumentale per lo studio delle patologie dei tessuti molli. Essa svolge una funzione integrativa alla clinica ed alle tecniche di indagine strumentale più sofisticate, quali TC e RMN, rispetto alle quali si presenta di semplice ed immediata esecuzione e può dirigere con efficacia e sicurezza le procedure diagnostiche cito-istopatologiche di agobiopsia.
In particolare, l’osservazione ecografica con Power Doppler offre notevoli vantaggi, in quanto consente di individuare, nel contesto di neoplasie con estesi fenomeni di necrosi, le aree tissutali meglio irrorate (e quindi più vitali) da sottoporre a valutazione bioptica, nonché di studiare i rapporti anatomici dei tumori dei tessuti molli per sede topografica (sopra- o sottofasciale, superficiale o profonda), dimensioni, presenza o assenza di infiltrazione delle strutture anatomiche contigue oppure di metastasi loco-regionali o a distanza.
La FNAB egoguidata, permette di discriminare con agevolezza le diverse tumefazioni dei tessuti molli superficiali, come lipomi, neoplasie benigne della serie schwanniana, infiltrazioni neoplastiche da parte di neoplasie già note oppure ancora insospettate , lesioni sarcomatose e lesioni pseudotumorali.
La citologia per ago sottile è una metodica altrettanto valida nello studio delle lesioni benigne o ipotizzate come tali, tra cui ricordiamo le neoplasie adipose mature, le masse della parete muscolare addominale (fibromatosi desmoide), i focolai di endometriosi cicatriziale. Essa presenta, inoltre, i vantaggi di una scarsissima invasività e di conseguenza è meglio tollerata dal paziente rispetto ad altre manovre bioptiche.
Nello studio dei sarcomi, l’esecuzione e lo studio cito- istopatologico di prelievi bioptici, implementati da eventuali metodiche d’indagine immunocitochimica, di biologia molecolare (FISH, PCR), può parzialmente ovviare alla limitatezza del campione tessutale e contribuire a fornire preziose informazioni diagnostiche che possono essere adoperate per la diagnosi di recidive o possono costituire la base per la successiva valutazione bioptica su campione operatorio.
Anche per i tessuti molli, le tecniche di prelievo, a mano libera o con dispositivo di guida, non differiscono da quelle impiegate per gli altri organi-bersaglio già descritte in precedenza.
Si adopereranno sonde lineari da 8-10 MHz per le lesioni dei tessuti molli alquanto superficiali; la scelta di sonde da 5-7MHz sarà riservata alle lesioni topograficamente più profonde.
Per quanto concerne gli aghi, si utilizzeranno modelli non trancianti di piccolo calibro tipo Chiba o Chiba modificato. Il calibro sarà di volta in volta scelto a seconda del sospetto di consistenza della lesione e del grado di vascolarizzazione,preventivamente valutato al color Doppler. In ogni caso si adopereranno aghi con calibro compreso tra i 23ed i 27G.
L’esame sarà eseguito ambulatorialmente o in regime di day hospital; non è richiesta anestesia generale , solo in alcuni e selezionati casi sarà utile praticare infiltrazione con anestetico locale.
In sogetti anziani o cardiopatici, è richiesto il digiuno da almeno sei ore per evitare le conseguenze che potrebbero prodursi in seguito all’eventuale insorgere di fenomeni vagali . La sottoscrizione da parte del paziente di un consenso informato, nel quale verranno illustrati i vantaggi, i limiti ed i rischi della metodica, è necessaria prima di dare avvio alla procedura.

Il testicolo, o didimo, è una struttura ghiandolare rivestita da una tunica di connettivo fibroso, detta “albuginea”. Quest’ultima ha uno spessore di circa 1 mm ed al livello del margine postero-superiore del testicolo si ispessisce e si approfonda in esso dando origine al cosiddetto “mediastinum testis”, struttura ecograficamente ben visibile. L’epididimo è allocato sul margine postero-esterno del testicolo con la testa poggiata parzialmente sul polo superiore di questo. Ecograficamente, la testa dell’epididimo è sempre ben visibile.
L’esame ultrasonografico riveste un ruolo importante nella diagnosi delle patologie del testicolo (didimo ed epididimo) nei casi in cui le sole indagini cliniche (esami obiettivo, palpazione, diafanoscopia, esami di laboratorio, ect.) risultano dubbi o insufficienti per supportare una diagnosi di benignità o malignità. E’ noto, invero, che circa un 5-10% dei tumori maligni può simulare una patologia benigna (epididimite, orchite con pachivaginalite, torsione, infarto, etc.) per dolore acuto da emorragia o per iperpiressia reattiva a necrosi. Peraltro, una tumefazione scrotale di consistenza lignea e non transilluminabile che può apparire clinicamente sospetta per neoplasia, può essere simulata da lesioni benigne come epididimiti croniche, cisti dermoidi, orchite granulomatose. L’esame ecografico, inoltre, pone con certezza la differenziazione tra lesioni solide (epididimite, orchite, etc.) e liquide (cisti, idrocele, etc.) e discerne nella totalità dei casi le lesioni intra da quelle extratesticolari. Quest’ultima distinzione riveste un discreto interesse ai fini diagnostici, giacché le lesioni extratesticolari sono abitualmente benigne.
Tuttavia, bisogna precisare che il solo esame ecotomografico nel caso delle lesioni solide testicolari non consente di formulare una diagnosi definitiva, in quanto il quadro di imaging risulta spesso di non univoca interpretazione. Infatti, l’aspetto più comune delle neoplasie del testicolo (di tipo seminomatoso, carcinomatoso e linfomatoso, etc.) è quello di una lesione ipoecogena, alcune volte a margini sfumati, altre a margini netti e con sovrapposizione di ulteriori lesioni contigue e confluenti (ciò solo negli stadi avanzati). Nei casi in cui questi segni ecografici non siano rispettati, con conseguente dubbio diagnostico, è utile ricorrere alla FNAB ecoguidata.

Le tecniche di esecuzione non sono dissimili da quelle impiegate per gli altri organi superficiali.
La FNAB del testicolo viene praticata , ambulatorialmente.
Si informa il paziente, in modo dettagliato, sulla modalità di esecuzione della procedura, sui vantaggi e sui limiti del trattamento e lo si invita a collaborare attivamente, per ridurre i rischi ed ottenere risultati ottimali. Egli , dovrà sottoscrivere un consenso informato.
Non è sempre indispensabile praticare infiltrazione di anestetico locale, tuttavia è consigliabile l’anestesia spray con cloruro di etile della cute scrotale; non sono necessari controlli clinici. E’ preferibile il digiuno per evitare le conseguenze che potrebbero prodursi in seguito all’eventuale insorgere di fenomeni vagali; non vi è bisogno di degenza. Per l’esecuzione della biopsia testicolare ecoassistita per citoaspirazione (FNAB) si preferisce ricorrere alla tecnica a mano libera, la quale può essere eseguita preferibilmente con sonda lineare.
Dopo aver disinfettato la cute dello scroto, ci si posiziona con la sonda appena lateralmente al punto d’ingresso dell’ago con una lievissima inclinazione. Si userà un sonda lineare small-part da 7,5 MHz o, meglio, da 10 MHz per una visualizzazione ottimale del parenchima.
L’esame richiede la presenza di due operatori: il primo dovrà bloccare con una mano il testicolo nell’emiscroto omolaterale e con l’altra insonare correttamente il bersaglio tanto da consentirne sempre la corretta visualizzazione, il secondo provvederà ad inserire l’ago guidato dagli US nel centro della lesione da tipizzare. Onde evitare sepsi, la sonda deve essere opportunamente contenuta in un sacchetto di plastica (bag sterile) o in un coprisonda di caucciù autoclavabile sterile ovvero, in alternativa, sterilizzata con sali di ammonio quaternario. E’ consigliato l’uso di gel sterile come mezzo di accoppiamento.
Usualmente vengono utilizzati aghi di piccolo calibro (23-25 G), di lunghezza in genere compresa tra 3 e 4 cm. Non sono utilizzati aghi di grosso calibro o trancianti, in quanto nel sospetto di lesioni neoplastiche vi è il timore di provocare diffusione cellulare che potrebbe determinare recidive locali; tuttavia, il parere di chi scrive è che tale rischio sia pressoché inesistente .
Preliminarmente all’introduzione, è opportuno imprimere, in corrispondenza del punto d’ingresso prefissato, una leggera pressione con l’involucro sterile dell’ago, che provocherà un piccolo cono d’ombra acustica sull’immagine del monitor in corrispondenza della lesione bersaglio, consentendo in tal modo di ricontrollare l’esattezza della traiettoria. A questo punto, si valuta la distanza cute-bersaglio con la scala centimetrata del monitor la quale corrisponderà anche alla profondità di penetrazione dell’ago e si procede, quindi, al prelievo.
La tecnica a mano libera ha il vantaggio di consentire all’operatore di aggiustare la traiettoria dell’ago ogni volta si verifichi un disallineamento. Perché ciò sia possibile, però, è necessario visualizzarne continuamente la punta. Con la siringa in aspirazione, si eseguono alcuni movimenti di “va e vieni” all’interno della lesione per prelevare materiale cellulare.
Nelle lesioni del parenchima testicolare il prelievo per capillarità è sconsigliato per la esiguità della raccolta che ne deriverebbe, data la qualità, la consistenza e la struttura del parenchima testicolare.
Per lo studio di tipo funzionale del testicolo, oltre alla ben nota biopsia escissionale chirurgica, un utile contributo può derivare dal ricorso alla FNAB eseguita sotto guida ecografica con l’ausilio del color-Doppler che metterà in evidenza le aree di tessuto maggiormente vascolarizzato. Tali aree sono quelle che sul piano funzionale meglio si prestano alla spermatogenesi. Pertanto il prelievo dovrà essere indirizzato mirando alle zone di parenchima più vascolarizzato. In pazienti azoospermici, queste zone di tessuto testicolare sono quelle a più elevata possibilità di reperire parenchima funzionante.In esse il prelievo di spermatozoi, oltre a fornire materiale utile a procedure di fertilizzazione in vitro, permetterà anche di formulare diagnosi di infertilità su base ostruttiva.

La tiroide è situata nella regione anteriore del collo, anteriormente alla trachea. Essa è costituita da due lobi uniti medialmente da una esigua porzione di tessuto ghiandolare, detta “istmo”, di solito situata al di sotto della cartilagine cricoide. In un 15 % dei casi è presente anche il lobo piramidale, la cui presenza va sempre ricercata. Numerose sono le patologie della ghiandola tiroidea di non univoca interpretazione alla tecnica di imaging ecografica, pertanto si ricorre ai prelievi citologici ecoguidati per dirimere gli eventuali dubbi diagnostici.
La FNAB tiroidea ecoguidata è un esame indicato:
– per la diagnosi di natura di noduli con sospetti caratteri di malignità e di diametro superiore a 5 mm;
– per la valutazione di processi flogistici infiammatori (tiroiditi);
– per il follow-up di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico per neoplasia.
La FNAB tiroidea viene praticata ambulatorialmente.
Si informa il paziente, in modo dettagliato, sulla modalità di esecuzione della procedura, sui vantaggi diagnostici e sui rischi, sia pur limitati (tecnica quasi totalmente scevra da rischi) e lo si invita a collaborare attivamente, per ottenere risultati ottimali nell’esecuzione del prelievo. E’ buona norma far sottoscrivere un consenso informato nel quale vengano anche chiriti i limiti della metodica, la sua accuratezza diagnostica ed il percorso clinico successivo al referto citologico.
Non è generalmente necessario praticare infiltrazione di anestetico locale, né sono necessari controlli clinici. Non è richiesto il digiuno e non vi è bisogno di degenza.
Prima di procedere al prelievo, si disinfetta il campo con alcool iodato o con sali di ammonio quaternario. Si utilizzano queste sostanze disinfettanti anche come mezzo di accoppiamento.
Come già detto, per l’esecuzione della FNAB è necessaria la collaborazione attiva del paziente. In posizione supina, lo si invita ad iperestendere il collo. Gli si consiglia, inoltre, di astenersi, per quanto possibile, dal deglutire o, quando ne sentisse la necessità, di avvisare l’operatore con un cenno, per evitare che l’ago possa deviare dalla traiettoria.
Si posiziona il trasduttore – usualmente una sonda lineare small-part da 10 MHz – sulla parte centrale della regione anteriore del collo (subito al di sotto della cartilagine cricoidea), in modo da insonare correttamente la ghiandola.
La puntura sotto guida ecografica, avviene talvolta con l’ausilio di un dispositivo laterale (più adatto alle piccole sonde)che consente, con buona approssimazione, di evitare il fascio vascolo-nervoso del collo; in tal caso si procederà alla ricerca della lesione e la si allineerà con il marker di guida elettronica rappresentato sul monitor (che traccia il percorso che dovrà compiere l’ago), avendo cura che quest’ultimo ne attraversi il centro.
Altre volte, anche in rapporto all’abilità dell’operatore, il prelievo viene eseguito con la tecnica a mano libera. Appoggiato il trasduttore sulla cute, si procede al prelievo, avendo cura di visualizzare la lesione bersaglio ed allineare la penetrazione dell’ago con esso. Per determinare l’esatta traiettoria che dovrà compiere l’ago, con l’involucro sterile dello stesso si eserciterà una lieve pressione sulla cute del paziente al margine della sonda allo scopo di determinare sul monitor un’ombra acustica, che indicherà il preciso punto di inserzione e di allineamento dell’ago con il bersaglio.
Penetrati quindi con l’ago e visualizzata la sua punta nella lesione, con lievi movimenti di “va e vieni”, per capillarità o con siringa con stantuffo in aspirazione, si preleva materiale cellulare che va depositato su uno o più vetrini o, se in forma liquida (noduli cistici), raccolto in provetta
Il materiale citologico prelevato con ago sottile (FNAB) tipo Chiba 23-25 G va strisciato su uno o più vetrini opportunamente fissati per la colorazione di MGG e di PAP.
Terminato il prelievo, il materiale contenuto nel lume dell’ago dovrà essere depositato come di seguito consigliato: estratto l’ago, si procede ad aspirare qualche c.c. di aria con una siringa; successivamente, collegata la siringa all’ago, la cui punta verrà posta quasi a contatto con il vetrino, si sospingerà delicatamente il pistone in avanti per far sì che l’aria insufflata faccia defluire il materiale prelevato. Per noduli di dimensioni < 5 mm, la FNAB presenta elevata difficoltà di centratura del bersaglio, pertanto è una tecnica riservata ad operatori molto esperti ed addestrati in tale disciplina di interventistica ecografica.
L’esame citologico permette di differenziare forme iperplastiche da forme neoplastiche e, tra queste, di tipizzarne un’elevata percentuale.
Un limite della procedura è rappresentato dall’incapacità di distinguere un adenoma follicolare da un carcinoma follicolare ben differenziato angio-capsuloinvasivo. Questa differenziazione può essere praticata solo su un prelievo istologico ed è per questo motivo che, ogni volta che ci si trova di fronte ad una lesione dal carattere follicolare, si indirizza il paziente dal chirurgo.
L’esame citologico di un prelievo tiroideo (FNAB) ha un’elevata specificità nella identificazioni delle tireopatie infiammatorie (Fig.36) ed autoimmuni . All’ecografia, infatti, soprattutto quando il quadro flogistico si complica assumendo una struttura mono o multinodulare, la diagnosi non è affidabile, non essendo possibile differenziare questa patologia da forme adenomatose o neoplastiche.
L’accuratezza diagnostica è molto elevata, aggirandosi tra il 90% e il 92%.
I limiti della metodica sono rappresentati dalla impossibilità di differenziare, su di un campione citologico, un adenoma follicolare da un carcinoma follicolare ben differenziato angio-capsulo-invasivo, in quanto, per tale diagnosi, è richiesto lo studio istopatologico di sezioni seriate della capsula della neoplasia. Nessuna difficoltà sussiste, invece, nella diagnosi degli altri istotipi di carcinoma tiroideo, ivi incluso il carcinoma follicolare franco ed il carcinoma midollare.
L’applicazione di metodiche ancillari a campioni citologici con diagnosi “indeterminata” può contribuire significativamente al miglioramento dell’accuratezza diagnostica. Tra queste metodiche, la immunocolorazione per beta-galectina è stata recentemente oggetto di studio sistematico nella discriminazione tra adenoma e carcinoma follicolare ben differenziato, con risultati incoraggianti, sia pur ancora controversi.

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